Domani alle 14:30 italiane verranno pubblicati i dati sul tasso d’inflazione tendenziale per gli Stati Uniti relativi al mese di luglio. L’ultimo dato, che riguardava giugno, come si sa ha certificato un tendenziale generale del 5,4% e un core del 4,5%.

Comunque, anche a seguito delle esternazioni del Presidente Fed Powell e degli altri membri del Fomc, si può ragionevolmente affermare che la Fed vede un’inflazione sostanzialmente in frenata, con valori assoluti che difficilmente potrebbero superare l’ultimo tasso del 5,4%, e che nelle valutazioni più ottimistiche dei membri del Fomc lo si potrebbe iniziare a ritrovare intorno al 4,5%, mentre il tasso tendenziale core addirittura al 3,7-3,8%. Cerchiamo di comprendere i motivi e le cause delle valutazioni della Fed. 



Innanzitutto, il mantra principale è che di fatto, al di là delle apparenze e delle effervescenze di periodo dovute in ultima analisi a una forte politica di accomodamento monetario, la domanda non ha ancora preso il volo tanto atteso e la conferma più robusta di questo aspetto viene da un mercato del lavoro debole: debole nel ritornare al livello di occupati ante covid, debole nella dinamica degli incrementi delle retribuzioni salariali.



Questi aspetti fanno valutare all’intero Fomc Fed che tra pericolo di inflazione in surriscaldamento e debolezza del mercato del lavoro sia da preferire l’intervento a supporto del mercato del lavoro, dando scarso preso ai pericoli inflattivi; tra le altre cose, per inciso, si sottolinea l’approccio profondamente di marca keynesiana da parte della Fed, e cioè il trade-off inflazione/disoccupazione; un board nettamente più monetarista si sarebbe concentrato sull’inflazione in maniera molto più stringente.

Non è inutile poi ricordare che a fronte di aumenti medi salariali del 3% la varianza degli aggiustamenti retributivi può iniziare a giocare brutti scherzi prospettici; in altro modo detto, ci sono settori e comparti che per quanto più limitati nell’ambito dimensionale rispetto ad altri stanno sperimentando aumenti retributivi del 30%.



Chi sono questi settori così fuori linea? Per ora si sa che sono settori di nicchia del terziario avanzato, informatica, componentistica avanzata, ecc.; tra le altre cose individuabili anche a livello territoriale; quindi, per tale verso è difficile affermare in questo momento se anche da questi settori verranno fuori strozzature all’offerta e a cascata incrementi a valle dei prezzi.

Da uno sguardo di insieme sembrerebbe che quest’ultimo aspetto è uno di quei tanti che nelle esternazioni di Powell sono legati a strozzature momentanee e non coordinate dovute alla ripresa in atto e che hanno scatenato i famosi incendi isolati; così come la vendita di auto usate, che nel loro incremento dei prezzi hanno scontato la profonda riorganizzazione gestionale di questa accennata ripartenza post-pandemia; l’effetto transitorio per la Fed si è avuto ovviamente con la generalità delle materie prime (evento questo il più lineare di tutti): appena si inizia a ripartire la strozzatura all’offerta si ha perché tutte le aziende senza la necessaria coordinazione temporale iniziano a domandare tutte e allo stesso momento le stesse cose, le stesse materie prime (ovviamente questo ragionamento va calibrato ai diversi settori produttivi).

Pe tale motivo, come più volte detto in precedenza, la principale materia prima negli utilizzi industriali e nel ruolo che svolge nel delineare gli scenari di fondo, e cioè il petrolio, è ritenuta dalla Fed il principale fattore soggetto a strozzature temporanee, e quindi per tale guisa fiammate fino agli 80 dollari al barile sono del tutto naturali in questo contesto. In buona sostanza, la Fed si porrà il problema petrolio se il barile Wti tracima e abbondantemente gli 80 dollari al barile; corollario non immediatamente evidente di queste ipotesi è che la Fed si attende in tempi brevi il barile di petrolio intorno ai 60 dollari al barile appena passati tutti questi effetti temporanei di cui sopra.

L’altra grande ipotesi di scuola che la Fed sta portando avanti nel monitoraggio e nel controllo dell’evoluzione del tasso di inflazione è la dinamica delle aspettative; da tale punto di vista il Fomc Fed è del tutto convinto in questo momento (e a parere di chi scrive non del tutto a torto), di avere il sostanziale controllo delle aspettative degli operatori di mercato. Perché questa convinzione? Per un motivo semplice assai: la mole di liquidità che la Fed (insieme alla Bce) sta riversando sul mercato; a seconda della liquidità presente sulle piazze finanziarie gli operatori fanno stime, e quindi per tale verso le fa in second’ordine la Fed in maniera accorta e puntuale. Tutto questo perché c’è comunque bassa crescita quinquennale, oppure detto meglio c’è una crescita potenziale abbastanza controllata.

L’unico evento avverso presente in tale schema e del tutto bizzoso, poco gestibile e pericoloso è il Covid-19; è del tutto evidente però che sullo sfondo ce ne siano tanti di “problemi brutti e impegnativi”, solamente che al momento per la Fed non hanno ancora valicato la dimensione della potenzialita; ci si riferisce, ad esempio, alle politiche per i cambiamenti climatici, alle tensioni Stati Uniti-Cina nel mare cinese meridionale, alle tensioni Usa-Iran, a quelle di sempre e sempre nuove con la Russia. In definitiva, alla Fed ci si sente in questo momento come il banco che da le carte e le vincite, e da cui tutto dipende: mercati, operatori e scenari.

Chi scrive questa prolusione immagina invece che in tale atteggiamento c’è sicuramente razionalità e competenza ai massimi livelli mondiali, ma vede distorto tale atteggiamento di fondo da un incipiente logica di potere e di onnipotenza che fa perdere di lucidità soprattutto al suo capo (Powell) che un macroeconomista quantitativo non è; in sostanza tante squadre di esperti, di economisti, di consiglieri gli presentano bella la strada che lui (Powell) crede che vada percorsa e così con questo atteggiamento si rischia. Al contrario, in questo intervento si ipotizza che il dato dell’11 agosto del tasso di inflazione tendenziale annuo sarà pari al 5,8%, e questo a motivo di aspettative degli operatori di mercato più nervose e anche più contraddittorie e infide.

Inoltre, per quel che riguarda le tante strozzature all’offerta diffuse e transitorie è una lettura che non sembra del tutto solida, perché oramai sono diversificate e confermate, anzi meglio si sono irrobustite e si stanno irrobustendo; ad esempio, si immagini un acquedotto di una grande città, se in un punto di snodo valvolare si crea una pressione localizzata troppo forte si spacca tutto e l’intero acquedotto va in stallo; è ben vero che la Fed ad esempio, tale pressione valvolare dell’esempio appena abbozzato la stima con un barile di petrolio Wti a 100 dollari al barile. Ma in concreto, il controllo dell’inflazione è sempre arduo, difficile e travagliato, dato che come abbiamo illustrato in interventi precedenti riguarda il comportamento e le aspettative di tutti gli attori e i settori del corpo sociale e economico; ecco perché uno dei motivi della desiderabilità di inflazioni comunque sotto il 3% è che eventuali sbagli di stima nelle previsioni portano a contraccolpi quasi nulli, mentre quando i valori inflattivi tendono a crescere, più si sbaglia e più si pongono le premesse per sbagliare ancora peggio.

Da ultimo, non va sottaciuto un fatto non direttamente collegato al tema inflazione ma strettamente interconnesso e cioè il ruolo della Fed nella politica valutaria. In sostanza la Fed stampa i dollari statunitensi, vale a dire la valuta di fondo dell’attuale sistema internazionale; un esempio per capire di cosa stiamo parlando: un dollaro che si apprezza è in grado al momento delle importazioni di azzerare qualsiasi shock sui prezzi delle materie prime e per tale verso contenere in maniera forte un eventuale fenomeno inflattivo.

Questa strategia ad esempio sarebbe sconociuta e non implementabile da parte di una nazione Italia con una sua propria valuta; la Russia, invece, ad esempio ha altre strategie di contenimento dovute alle sue illimitate risorse.

Chiudiamo in maniera un po’ eccentrica: Biden è furioso con la Russia e con Putin che definisce teppista, in quanto ricattano il mondo col petrolio e con le testate nucleari. Si possono comprendere allora a questo punto i deliri di onnipotenza del Presidente Fed? Per chi scrive si possono comprendere dalla spiegazione dei motivi accennati.

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