Come oramai sappiamo da qualche giorno, il Presidente della Fed Powell ha annunciato la riduzione della policy easing money con diminuzione programmata degli acquisti netti di titoli del debito pubblico e dell’azionariato per 15 miliardi di dollari al mese a partire da novembre e con termine programmato a giugno 2022. Il percorso effettivo dipenderà dalla congiuntura economica e, infatti, a tal riguardo il Presidente Fed ha aggiunto che si attende ragionevolmente un’inflazione transitoria



In un precedente articolo si è commentato a caldo il contesto e le motivazioni esternate dal funzionario di cui prima, e si sono evidenziate a parere personale le numerose criticità di merito di quell’intervento. Cosicché in queste righe si cercherà di presentare un quadro di riferimento analitico del come si costruiscono e si giudichino da parte degli operatori le aspettative, e nel caso specifico quelle inflattive.



Da tale punto di vista, allora, la variabile controllata e monitorata con maggiore attenzione – soprattutto da un banchiere centrale – è quella del tasso di interesse medio del mercato obbligazionario pubblico e privato; medialità riferita agli emittenti e agli importi, ma non alle scadenze temporali, dato che per tale verso si costruisce quella che viene definita la curva dei rendimenti.

In astratto, nulla dovrebbe definire l’andamento e la forma della curva, ma nella ricerca teorica c’è molta condivisione sul fatto che l’andamento crescente nel tempo dei tassi di interesse obbligazionari sia quello che meglio rispecchia un ciclo economico ordinario e virtuoso; al contrario, l’andamento invertito è sinonimo operativo di profonda crisi e pericolo sui mercati, mentre l’andamento piatto è giudicato una situazione interlocutoria di prospettive a venire (la famosa trappola della liquidità keynesiana).



Quindi, l’aspettativa di lungo periodo (per esempio 10 anni) del tasso inflattivo può essere monitorata in maniera efficace e precisa dal tasso di interesse della yield curve (la curva dei rendimenti) a 10 anni e in base a ciò capire cosa si aspettano gli operatori.

Ora, nella conferenza stampa citata in epigrafe il Presidente Fed ha detto chiaramente che le aspettative di lungo e medio periodo parlano di una bassa inflazione, oppure detto con espressione maggiormente precisa di un’inflazione ampiamente nel target del 2% annuo della Fed, e per tale motivo il fenomeno inflattivo che stiamo iniziando a vivere è transitorio in quanto è connaturato a un’ottica di periodo breve.

È qui che il discorso diventa delicato e complesso, perché si crea un circolo che può essere virtuoso o portare a pericolosi fenomeni di isteresi; in sostanza, se partiamo dal fatto che le analisi della Fed siano corrette, allora gli operatori attendono fiduciosi che l’inflazione e le sue cause scompaiono tenendo un atteggiamento morbido sulla curva dei rendimenti, in quanto sono rassicurati dalle esternazioni della Fed e, cosa altrettanto importante, da un sacco di liquidità nel proprio portafoglio.

Questo è il cuore del problema: se l’economia funzionasse per davvero i soldi si genererebbero dal ciclo economico che si dipana ordinario e crescente, ma al momento attuale la liquidità abbondante agli operatori non è stata fornita dall’economia reale, bensì dagli stimoli straordinari della easing policy money della banca centrale. Efficace è anche l’immagine di un mega prestito anticipatore e facilitatore dell’atteso e sano ciclo economico, portato avanti dall’istituto centrale.

Ma giunti a questo punto siamo proprio sicuri che sia le analisi che le aspettative siano adeguate? Se ciò non dovesse rivelarsi esatto, allora significa che stiamo entrando in un problematico scenario di isteresi, cioè a dirsi che il settore finanziario e borsistico si sta muovendo in un modo troppo “strappato e disgiunto” dal ciclo economico; qui si crea il cortocircuito, in quanto la Fed è rassicurata da bassi tassi di interesse a lungo termine che le fanno quindi parlare di controllo ragionevole della situazione, e gli operatori di borsa in base a questo si sentono rassicurati e si comportano come se il quadro economico reale funzionasse per davvero o sia prossimo a farlo. Cioè, detto in altro modo, ognuno dei due attori, Fed e l’aggregato degli investitori istituzionali, sta dando fiducia all’altro che la situazione è sotto controllo; lo si ribadisce con maggiore chiarezza che questa fiducia mutuamente accordata viene certificata a precise scadenze temporali dai risultati dell’economia reale, che vengono tramutati nelle borse, nei più svariati indici di rendiconto: trimestrali di utili e di cassa, price/earning ratio, ordinativi industriali e così via.

Rompe gli schemi il dato dell’inflazione in crescita e in valore assoluto non più lieve, ma leggera e/o moderata, perché tale fattore ci sta dicendo che i prezzi non sono più stabili, cioè in modo cibernetico che il flusso di informazioni e retroazioni sta diventando impreciso, e questo inevitabilmente porta nervosismo.

L’analisi passo per passo, anche se non ha veduta di insieme, aiuta però a fare chiarezza; in effetti, è opportuno in queste situazioni iniziare a operare distinguo: ad esempio, le trimestrali di utili delle banche d’affari “dovrebbero essere molte più sospette” di quelle di aziende operative, e le stesse aziende operative dovrebbero essere valutate in modo qualitativamente differente a seconda del settore industriale di appartenenza. Si sa, per esempio, che il settore immobiliare è più delicato da trattare rispetto a quello della componentistica chimica e industriale, in quanto quest’ultimo settore è molto meno sotteso a fenomeni speculativi.

Si pensi, ad esempio, a Evergrande oppure a Lehman Brothers: speculazione folle sul numero di unità abitative progettate e follia di rilancio, indebitamento a leva, dato l’agognato guadagno di taglia superiore. Ma se i guadagni non ci sono, ci sono allora i problemi; ecco perché il settore della componentistica è meno speculato, in quanto per funzionare ha comunque bisogno di una domanda a valle certa e verosimile e poco speculativa. Insomma, fare tali analisi parcellizzate è come dare una classificazione qualitativa al ciclo economico, per giudicare della sua sanezza.

Per l’appunto, il ciclo economico attuale non è sano, è contemporaneamente depresso, soggetto a strozzature e con poca liquidità, rispetto a quella riversata la quale ha preso la strada dell’ingaggio finanziario; però tale ingaggio che si è prolungato tendendo a divenire troppo fine a se stesso genera e ha generato speculazione sui corsi azionari gonfiandoli e abbattendo i tassi di interesse, e in tali termini con tutte le peculiarità per creare isteresi.

Uno dei lati del fenomeno inflattivo è proprio questo: sparigliare i giochi e riportare il ciclo economico reale in aderenza alle dimensioni finanziarie, ove il tasso di interesse di medio e lungo periodo fa da volano e bussola al percorso. Al momento questo volano è stato nel breve periodo distorto da una liquidità che non è stata creata dal mercato dei beni e dei servizi, ma che hanno “anticipato” la Fed e la Bce. Di tenore identico è comunque la stessa dimensione dei debiti pubblici in capo alle autorità di bilancio.

Cosa ne viene fuori da tutto questo come insegnamento? Ne viene fuori che le aspettative future sono in grado di influenzare enormemente i comportamenti odierni, e se sono corrette generano crescita virtuosa, se sono sballate creano isteresi e recessioni. L’inflazione incipiente di questi giorni ci sta informando, insomma, che le aspettative finora utilizzate e costruite iniziano a essere imprecise, e più si amplifica questa imprecisione, più i problemi economici aumenteranno.

La Fed e la Bce e gli operatori dei mercati borsistici si stanno riassicurando a vicenda sulla sostanziale linearità e gestione del ciclo economico, e lo fanno con moneta creata in anticipo rispetto ai desiderata. Questo però è un investimento sul futuro, o se si preferisce utilizzando toni provocatori è speculazione bell’e buona, in buona fede quanto si vuole, ma speculazione sempre.

Le banche centrali devono dimostrare ora al mercato tutto, operatori borsistici istituzionali, autorità politiche e consumatori, che non si sono sbagliate a leggere il percorso. La partita è molto chiara e sferzante: più alta è l’inflazione e meno credibilità hanno da spendere le autorità monetarie, e quindi per avere ragione poi di eventuali fenomeni avversi che si verificassero molto più dura di quanto previsto all’inizio dovrà essere la correzione.

Una cosa è certa, le nostre autorità monetarie hanno affermato oramai chiaramente che non hanno il controllo sulle strozzature dell’offerta. Non è un buon segno.

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