Mercoledì scorso il Dipartimento del Labour of Statistic degli Stati Uniti ha diffuso il dato dell’inflazione tendenziale di aprile, risultato essere dell’8,3% per il paniere complessivo dei beni e dei servizi al consumo e pari al 6,2% per la componente core. Il consensus Bloomberg degli operatori di mercato stimava l’8,1 % per il dato complessivo, mentre le stime da me condotte sono risultate in eccesso di un sensibile errore dello 0,6%, avendo predetto l’8,9-9% con valore minimo di intervallo dell’8,7%.
A livello quantitativo la mia stima ha risentito dell’errore di parametrazione del peso della componente energetica per i riscaldamenti, valutata in modalità di utilizzo invernale, mentre nei fatti da aprile in avanti tale dinamica comincia ad avere peso più leggero; questo è uno dei principali aspetti del perché la Fed considera non appartenente al dato core dell’inflazione questa grandezza, in quanto in buona sostanza risente in modo sensibile della stagionalità annua. L’altro elemento che ha portato la mia stima a un importante errore è stato l’aver parametrato in eccesso il peggioramento delle aspettative, monitorato tale elemento dall’incremento del tasso dei Tresaury a 10 anni; in numeri si ha che siamo al 3% con punte fino al 3,2% perlomeno fino alla giornata dell’11 di maggio, in seguito dal 12 maggio si sono toccati di nuovo valori come il 2,87%.
Lo si sottolinea sempre che l’innalzamento dei tassi Tresaury a 10 anni è dovuto allo smobilizzo da parte degli investitori dei bond governativi, con l’ovvia dinamica di un’offerta titoli sul mercato secondario superiore alla domanda; questo innalzamento dei tassi di mercato diventa un pivot di riferimento per la Fed che vede sul campo un peggioramento delle aspettative inflattive e di conseguenza diventa più reattiva a un innalzamento dei tassi per bloccare la corsa dei prezzi; c’è però, un però, a questo punto del discorso che va approfondito con molta cura; il però in questione è che attualmente i bond governativi Usa sul mercato secondario, e cioè sostanzialmente il debito pubblico, sono pari a circa 32.000 miliardi di dollari, livello che negli anni ’70, periodo di innesco dell’importante crisi petrolifera ed energetica e della conseguente fiammata inflazionistica in Occidente tra il 1974 e il 1983 con tassi superiori in media all’8% e con punte per gli Stati Uniti fino al 15% nel 1981 (per l’Italia si sono avuti tassi con punte del 23% in quegli stessi anni) non era lontanamente paragonabile agli attuali livelli; in sostanza, negli anni ’70 smobilizzare bond governativi aveva effetti ricchezza pressoché nulli dato il basso livello del debito pubblico, mentre al contrario nel 2022 smobilizzare bond governativi sui mercati secondari porta a ingenti effetti ricchezza data la mole enorme del debito pubblico.
Quindi, la conseguenza di tutta la dinamica sopra accennata è che l’effetto ricchezza ingente ritorna come stimolo sulla domanda, creando ulteriore pressione sui prezzi di mercato e quindi sull’inflazione; cioè, come già altre volte detto, quando ci si avvicina alla zona di tassi inflattivi pari al 9,5-10%, l’innalzamento dei tassi federali condotto dalla Fed, a seguire e/o anticipare la curva dei tassi di mercato, non ha più un effetto univoco e direzionalmente orientato, al contrario scatena forze e dinamiche contrapposte che fanno perdere all’autorità monetaria il controllo efficace degli aggregati; è vero che non siamo al momento in area 9,5% e all’insù per l’inflazione, siamo però al tempo stesso talmente vicini a questi valori che alcune avvisaglie prodromiche si stanno iniziando ad avvertire, e una tra tutte è l’incremento della volatilità dei mercati che è molto appariscente e osservabile, ma più sottotraccia c’è l’inizio di segnali di fibrillazione sui valori della velocità degli aggregati monetari M2 e M3.
In defintiva, sebbene la stima da me condotta sia stata molto più erronea di quella del consesus a livello quantitativo, il fatto però che si sia trovata in posizione sovrastimante rispetto alla sottostima del consensus lascia un sentore qualitativo meglio avvertito di aspettative che non sono per nulla calme e nemmeno sulla via di una tranquillizzazione sostanziale; va aggiunto, anzi, che il Dow Jones è quasi giunto nella giornata del 12 maggio di nuovo ai 31.000 punti avvicinandosi e di molto alla soglia psicologica dei 30.000 punti che segna e ha segnato in passato il limite di valico verso valori azionari del tutto avulsi dalla realtà economica effettiva, ma tenuti in vita solamente dall’eccesso straordinario di liquidità a costo zero fornito dalla Fed, soprattutto dal 2020 e fino a un mese fa.
Ripeto di nuovo che i mercati, a mio parere e nello specifico Wall Street, oltre che in bolla sono in isteresi, a dirsi cioè un disco rotto e incagliato sullo stesso solco; per tale motivo è molto più facile che siano eventi esterni ed esogeni a rompere tale stallo, ed è al contrario molto più difficile un’azione manovrata e gestita da parte dell’autorità monetaria, in quanto la Fed, tolta la moneta e i tassi, non ha il controllo diretto di tutte le altre dimensioni della società: organizzazione industriale e mercati settoriali, catene logistiche, mercato del lavoro, politiche energetiche, percorso degli studi universitari e professionali, infrastrutture, poli di ricerca, agricoltura, dimensioni militari e di politica internazionale.
Insomma, viene fuori in altro modo quello che sostengo da sempre, e cioè che quando l’inflazione supera certi valori numerici, soglia del 9,5% cessa di essere fenomeno esclusivamente monetario e diventa al contrario perlomeno fino a un orizzonte di medio periodo, fenomeno reale e per tale verso per essere affrontato con efficacia necessita l’intervento dell’autorità del bilancio pubblico, fino ad arrivare nei casi più impegnativi e seri all’attività legislativa piena che ingloba ogni tipo di politica economica, sociale , regolamentare, istituzionale.
In buon sostanza è questo lo scenario attuale degli Stati Uniti d’America, scenario tra le altre cose confermato dal fatto che il Presidente degli Usa Biden, ha costituito un team di lavoro presidenziale per combattere l’inflazione, la qual cosa illumina di luce adamantina il fatto che la Fed se vogliamo è nei fatti “commissariata” all’esecutivo; resta il solo fatto curioso di stile, che immediatamente dopo questi annunci e intenti da parte di Biden, lo stesso abbia affermato con candore serafico che non intende minimamente essere di ostacolo all’indipendenza dell’autorità monetaria; secondo me, questo è strabismo in piena regola, che cerca di salvare la faccia senza riuscirci, anzi creando nei mercati un’aspettativa opposta, che è quella dell’arrivo oramai a pieno regime di tempi turbolenti.
Di questi tempi turbolenti, l’icona maggiore è ovviamente la guerra in Ucraina, la quale oltre che essere problematica e grave in se stessa, ha anche l’ulteriore effetto di peggiorare lo scenario di tutti gli altri problemi che attualmente stiamo affrontando: Covid-19, politiche energetiche del cambiamento climatico, tensioni economiche con la Cina, la fame e le povertà nel mondo.
Questi di cui sopra sono i fattori di fondo che mi fanno affermare già da adesso che al contrario di quanto sperato da molti, per il mese di maggio rivedo comunque il dato dell’inflazione in crescita in un intervallo tra l’8,5% e il 9%, mentre per una stima puntuale precisa attendo tutti i dati provenienti dal compiuto svolgersi del mese.
L’indicatore di cruscotto dell’inflazione è sempre esso, e cioè il Big Kahuna, parliamo di sua maestà il petrolio, che pesa per il 35% a livello dell’intero pianeta terra delle fonti energetiche consumate, mentre il gas vale 16-18%, poi soprattutto presente nei Paesi più sviluppati, ma, come altre volte detto, è solamente il petrolio che di fatto muove l’intero parco mondiale delle automobili, dei camion, dei tir, dei mezzi speciali, delle navi, degli aerei civili e militari, mentre percentuali risibili sono dovute al gas e al nucleare (sostanzialmente in ambito militare).
In termini economici la domanda mondiale di energia derivante dal petrolio per un buon 20% a livello dell’insieme di tutte le altre fonti è anelastica; questo è il perché della capacità di innesco e di propagazione inflattiva dovuta al petrolio che è di gran lunga più importante e severa di qualsiasi fattore di offerta.
Chiudo in maniera eccentrica; i soli due Paesi al mondo che hanno contemporaneamente sicurezza e indipendenza energetica sono Canada e Russia; gli Stati Uniti hanno la solo sicurezza energetica (garantita però dal Canada), ma non sono per nulla indipendenti.
Siamo entrati in un periodo pluriannuale di media-alta inflazione.
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