È ormai passata una settimana dall’editoriale sul “Fatto Quotidiano” del rettore dell’UniSiena per gli Stranieri Tomaso Montanari, dove in sostanza criticava e non poco la commemorazione nazionale “Il Giorno del Ricordo”. Polemiche, scontri a destra e sinistra, editoriali di risposta: le parole del professore hanno scatenato un putiferio e lui, a distanza di 7 giorni, torna sul “luogo del delitto” per perorare la sua causa e ricordare come in fondo la tragedia delle foibe non sia affatto da negare ma piuttosto da “minimizzare”.
Secondo Montanari le “destre italiane” – da Italia Viva a Casapound, da Lega a Fratelli d’Italia fino ad Aldo Grasso (così li ha bollati tutti il docente, ndr) – lo hanno attaccato in maniera sguaiata e senza giustificazioni: «l’effetto è stato quello di un “fascismo polifonico” (per usare un’espressione di Gianfranco Contini). Come se, improvvisamente, fossero scomparsi dalla Costituzione gli articoli 21 (libertà di espressione) e 33 (libertà della scienza e autonomia delle università): in un assaggio di quel ritorno al fascismo che potrebbe com- portare l’ascesa al governo di questa compagine nera». L’accusa di aver “negato le foibe” è falsa, dichiara Montanari: ma in effetti, a parte qualche sparata sui quotidiani di Cdx, il punto non è che il docente abbia negato la morte di migliaia di italiani negli inghiottitoi carsici tra Friuli e Dalmazia alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma che lui abbia voluto rendere meno grave un eccidio perpetrato dai comunisti jugoslavi di Tito rispetto ad altre tragedie del Novecento, come se si dovesse stilare una inutile e becera “classifica” degli orrori. Scrive ancora Montanari sul “Fatto”: «nessuno nega le foibe che videro, secondo l’opinione oggi prevalente tra gli storici, la morte di circa 5000 persone – fascisti, collaborazionisti ma anche innocenti – per mano dei partigiani di Tito), come nessuno nega l’atrocità dei bombardamenti alleati, o delle due atomiche sganciate sul Giappone: ma questo non significa che americani e nazisti fossero sullo stesso piano».
LA LETTERA-TESTIMONIANZA CONTRO IL PROF. MONTANARI
Già in diverse altre interviste Montanari ha puntato il fatto che nelle foibe morirono migliaia di fascisti o collaborazionisti, come se questo fosse giustificabile o quanto meno rendesse qui morti “meno vittime” rispetto ad altre. Per Montanari il punto chiave è che il “Giorno del Ricordo” è una festa che nella sostanza «annega le responsabilità del Ventennio e della guerra mondiale con una ‘equa’, e perciò del tutto inaccettabile, distribuzione delle colpe. Sono le equiparazioni che hanno sempre fatto i fascisti in Italia per giustificare gli orrori del Ventennio». Tra le tante repliche politiche giunte alle dichiarazioni shock di Montanari, ne citiamo una su tutte che dà il senso di come la medesima realtà possa essere vista dagli occhi dell’ideologia o da quelli della mera cronaca fattuale: su “Libero Quotidiano” di oggi Elisabetta De Dominis scrive una lettera indirizzata al professor Montanari per testimoniare la storia della sua famiglia, uccisa e devastata dalla furia ideologica dei comunisti titini. «Falsificazione storica la chiama Montanari […] si vede che non ha avuto un padre e un nonno torturati dai comunisti», si legge nella lettera pubblica su “Libero”. Non solo: «La sinistra nutre il pregiudizio che fossero fascisti e quindi se lo sarebbero meritato… Trecentocinquanta mila italiani fascisti, compresi i bambini? Ma per favore. Non si poteva rimanere nella nuova Jugoslavia comunista perché ti ammazzavano per rubarti casa e beni. Sono rimasti solo coloro che non possedevano nulla o erano anziani o non sono riusciti a scappare. Se scoprivano che parlavi anche lo slavo, eri slavo e quindi non potevi andartene. Non solo: i delatori venivano ripagati dai titini e quindi c’erano denunce continue, esattamente come durante la caccia agli ebrei in Italia». In Dalmazia poi, oltre alle foibe, v’erano anche altri “metodi” per fare pulizia etnica degli italiani: «il mare fungeva da foiba. I comunisti ti gettavano in mare dopo averti legato una pietra al collo e amputato mani e piedi affinché non ritornassi a galla».