Ci sono consigli non richiesti e io uno ve lo dò: vedere il film Folle d’amore su Alda Merini (disponibile su Raiplay). Ritratto di una donna potentemente umana, “folle d’amore”, come il titolo giustamente la definisce. Ma non un amore da copertina, bensì un amore che le urgeva dentro, inesplicabile, se non con la poesia, tanto da farle sfiorare la follia.
Non il ritratto di una santa, anzi, da ragazza ha scoperto l’amore con uomini sposati, amori sballati ma sempre terminati perché le mancava qualcosa. Nemmeno quello che sposò, bello come il sole, e che le ha dato 4 figlie, poteva rispondere a quel fuoco d’amore che aveva dentro, etichettato fin dalla tenera età come pazzia. Quando non si sa rispondere alle domande, queste invece di spingere più in là lo sguardo, le si etichettano come folli, e si sbatte la porta in faccia all’imprevisto, unica nostra salvezza. Ancora oggi…
Peccato solo che nel finale del film Folle d’amore gli autori non abbiano riportato la testimonianza delle ultime, o quasi, parole di Alda Merini che dicono tutto di lei, fumatrice accanita, che sul letto di ospedale, due giorni prima di morire di un sarcoma alle ossa, si accende una sigaretta. “Ma signora Merini – le dice il medico – non è il caso che lei fumi!”. “Caro Bardoni, risponde la Merini, oramai mi rimane questa sigaretta e il primo bacio di Gesù”.
Chissà perché gli autori di Folle d’amore non l’hanno citata? Forse perché questa è veramente follia pura, che nemmeno un film “celebrativo della follia” come questo può osare dire, salutare cioè morte come madre che ti fa nascere alla vita con Gesù. Innamorata della vita, affamata di senso, fino a cadere nel buio più profondo e là, in quel fondo, ha visto chi le dava quell’amore (lo dice ai medici del manicomio che ha visto Gesù, veramente, e in tutta risposta riceve il trattamento speciale dell’elettroshock) e tanto da desiderarne il bacio, nella vita vera. Forse questa follia è troppa, come troppa era la vita che aveva dentro, tanto che per contenerla i suoi stessi cari (ecco l’amore che ha paura della diversità, dell’eccessiva vita, no, non è amore) l’hanno chiusa in una galera/manicomio (giochetto riservato ahimè a diversi poeti del tempo), ma non ci sono riusciti perché, anche lì, la vita ha vinto.
Forse i matti siamo noi a abbassare l’asticella a questi geni e a noi. “I pazzi aprono le vie che poi percorrono i savi”, scriveva Carlo Dossi a cavallo tra Ottocento e Novecento. È il contributo che ha dato questa grandissima concittadina, poetessa e martire, Milanese DOC, a tutti noi, cittadini del mondo, dimentichi di ciò che infiamma il nostro cuore.
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