Pochi lettori capiteranno forse nel villaggio di Camerón, in Terra del Fuoco (parte cilena) anche perché adesso il nome non appare più, trasformato ufficialmente in Timaukel, ripristinando quello che (pare) fosse il suo nome indigeno.

Fatto sta che gli abitanti continuano ad essere 52, di cui una decina dipendenti dell’amministrazione locale (che copre però una superficie di diverse migliaia di chilometri quadrati), dovendo pensare un po’ a tutto.



Sta di fatto che – in omaggio alla linea “green”, ecologista e progressista del presidente cileno Gabriel Boric (famiglia di immigrati croati di inizio secolo scorso e originario proprio di queste parti) – davanti al piccolo municipio troneggiano accurati e simpatici trespoli per la raccolta differenziata dei 52 abitanti e dei pochi turisti che passano di là. Non basta: entrando nell’atrio noterete un apposito contenitore che raccoglie i tappi delle bottiglie di plastica per un’ulteriore separazione, perché i tappi – si sa – valgono di più.



“Chapeau” per questa attenta scelta pro-natura. Peccato che percorrendo i cento metri scarsi che separano il municipio di Timaukel dalla sua spiaggia, che dà sullo Stretto di Magellano, noterete purtroppo migliaia (o milioni) di pezzacci di plastica, bottiglie, cordami, pezzi di polistirolo che arrivano ogni giorno sulla battigia trasportati dalle forti correnti, riprendendo poi il loro viaggio con l’alta marea.

Il dubbio è se non servirebbe di più cercare di raccogliere almeno una parte di quei rifiuti in transito, visto che il luogo è il passaggio obbligato tra due oceani. Eppure non lo fa nessuno e si continuano a collezionare tappi di plastica.



La stessa incongruenza l’ho notata ascoltando una dotta conferenza che illustrava le mirabili imprese di una ditta svizzera che in Islanda (con un “aiutino” di alcuni milioni di euro) ha costruito uno stabilimento che – tramite ventilatori – “cattura” l’aria, riesce – così si afferma – a recuperarne la CO” che viene “sparata” in profondità sottoterra a 300 metri di profondità “liberando” l’aria di micro-frazioni di CO2.

L’eco-stabilimento è in Islanda non perché l’aria è più inquinata, ma perché per far funzionare i ventilatori serve una gran quantità di energia e proprio lì (e purtroppo solo lì) quella geotermica è praticamente gratis.

L’ingegnoso impianto non deve sembrare una bufala, soprattutto perché produce “certificati verdi” da vendere sul mercato internazionale, quelli che permettono poi alle aziende di potersi dichiarare ad “emissione zero”, come per esempio afferma la pubblicità di quell’acqua minerale che immortala un ciclista che beve in cima alle montagne e poi si fionda giù dalle cime con un impatto ambientale – mi permetto di osservare – comunque decisamente poco eco-rispettabile.

Tornado all’impianto di recupero dell’anidride carbonica, si sostiene che, così facendo, la si riduce globalmente in atmosfera, il che permetterà di ridurre l’aumento termico del pianeta. Ma quando ho chiesto quante migliaia di volte di più di CO2 rispetto a quella “aspirata” sia stata naturalmente emessa solo dalla recente eruzione avvenuta proprio in Islanda, la risposta non è venuta. Qualcuno mi ha però risposto che generalizzando gli impianti in tutto il mondo (e con costi – mi permetto di osservare – di miliardi di euro) nel 2050 “ben” il 2,5% della maggiore anidride carbonica prodotta dall’uomo potrebbe essere “aspirata”. Globalmente, insomma, un infinitesimo del totale.

Questi esempi non vogliono dire che ridurre le emissioni non sia una “buona pratica”. Dovrebbero però portare la gente a riflettere che forse sarebbe molto più utile (ed economico) al “villaggio globale” fornire una città indiana di un depuratore, visto che la plastica buttata in un fiume arriverà prima o poi anche in Terra del Fuoco, e che non ha senso inventare costosi impianti “aspiranti” se ogni 42 ore in Cina viene inaugurata una nuova centrale termica a carbone che produrrà una quantità di CO2 pari migliaia di volte quella “ripulita” in Islanda.

Visto che la nostra beneamata Terra è unica, non importa dove si immetta CO2, ma semmai come immetterne di meno, magari cominciando a controllare gli scarichi delle decine di milioni di camion che circolano in Africa, in Sudamerica o in India che – chi c’è stato lo sa – inquinano infinitamente di più delle nostre “famigerate” auto Diesel 5 ormai da mettere fuori legge nell’idealistica ed utopica Europa.

Concretezza e buone pratiche devono essere la priorità, non utopico autolesionismo green, anche se è molto più soave e chic illuderci con i tappi di plastica di Timaukel o aspirando l’aria in Islanda.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI