Il Covid ha cambiato le nostre vite. Ha modificato la nostra quotidianità, i nostri modelli di lavoro, arrivando a incidere sull’intera organizzazione sociale. Ma non solo. Ha imposto anche riflessioni profonde sul rapporto tra uomo e ambiente. E, di conseguenza, sul legame che unisce uomo e alimentazione. Un legame che, anche nelle aree più avanzate del Pianeta, non pare risolversi sempre in un bilancio trasparente e positivo.
A confermarlo è il Rapporto “L’Europa e il cibo”, condotto dalla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition, che presenta una valutazione dei sistemi alimentari dell’Unione europea e del Regno Unito in termini di sfide nutrizionali, agricoltura, perdita di cibo e spreco alimentare. E che mette in evidenza uno scenario contraddistinto ancora da tante ombre e qualche luce.
I problemi irrisolti
Tra le prime, spicca senza dubbio l’allarmante tendenza al sovrappeso e all’obesità riscontrata sia tra gli adulti – con percentuali superiori al 50% – sia tra i bambini, soprattutto nell’Europa meridionale e nel Regno Unito. Si tratta di un fenomeno che non risparmia comunque nessun Paese dell’Ue e che diventa ancora più allarmante perché si sposa con la propensione alla sedentarietà. Un elevato indice di massa corporea unito alla mancanza di attività fisica rappresenta infatti un cocktail potenzialmente esplosivo perché costituisce un fattore di rischio per lo sviluppo di malattie non trasmissibili (MNT) e, pertanto, può rivelarsi un elemento capace di ostacolare il benessere di ampie fasce della popolazione arrivando a gravare sui sistemi sanitari e sullo sviluppo economico.
Tra le note dolenti deve essere poi inserita anche la mancanza di aggiornamenti delle linee guida alimentari pubblicate dai Paesi Ue. Una lacuna che ha posto ostacoli al corretto sfruttamento del potenziale delle diete sane e sostenibili. Nonostante il fatto che la possibilità di migliorare la salute delle persone e del pianeta mediante l’alimentazione sia stata ampiamente studiata e segnalata – sostiene il Rapporto della Fondazione Barilla -, soltanto in pochi casi il tema della sostenibilità è inserito nelle raccomandazioni alimentari.
Un altro fianco aperto è rappresentato dal progressivo processo di occidentalizzazione che tocca la dieta alimentare nei Paesi dell’Unione. Qui si sta infatti assistendo alla sempre più ampia diffusione di regimi caratterizzati da un elevato contenuto di proteine, grassi saturi, cereali raffinati, zuccheri, alcol, sale e sciroppo di fruttosio derivato dal mais, cui si accompagna un consumo ridotto di frutta e verdura.
Ma la lista non si esaurisce qui. Tra le criticità va annoverata anche la degradazione dei terreni agricoli, un problema cruciale specialmente nei Paesi dell’Europa meridionale, caratterizzati da un contenuto di carbonio nel suolo (in termini di percentuale sul peso) inferiore alla soglia critica dell’1,5%. Un impoverimento – dice il Rapporto – che deve essere ricondotto per lo più all’agricoltura e che provoca la degradazione della struttura del terreno e con il conseguente aumento dell’erosione del suolo, della lisciviazione dei nutrienti e delle emissioni gassose. Va detto però che in questo quadro non manca una buona notizia: tra tutte le regioni analizzate nel Food Sustainability Index 2018, l’Ue presenta la percentuale maggiore di superficie agricola coltivata biologicamente rispetto a quella totale. Un risultato frutto di una progressione continua: secondo il Rapporto, infatti, negli ultimi dieci anni i terreni occupati dall’agricoltura biologica sono aumentati del 70%. E continuano a crescere.
Da tenere sotto osservazione è poi la mancanza di giovani impegnati in agricoltura: nei Paesi analizzati costituiscono in media circa il 5% della popolazione giovanile, con le uniche eccezioni di Romania e Bulgaria dove il valore supera il 10%.
Infine, occorre fare i conti con uno spreco alimentare ancora elevato. I numeri parlano da soli: oltre il 20% del cibo prodotto nell’Ue va buttato. Il che corrisponde a 58 kg di rifiuti prodotti in media da ogni cittadino. Un danno economico più che rilevante – osserva il Rapporto – se si considera che le perdite alimentari rappresentano circa il 3% della produzione alimentare totale.
Le azioni virtuose
Non tutto è però negativo. Proprio in tema di sprechi, per esempio, si contano risposte strategiche importanti a livello comunitario, nazionale e regionale. Negli ultimi anni – fa notare il Rapporto -, l’Ue ha realizzato tre provvedimenti importanti. Anzitutto, la pubblicazione delle linee guida sulla donazione dei prodotti alimentari; in secondo luogo, l’aggiornamento delle linee guida sull’utilizzo come mangime di alimenti non più destinati al consumo umano; infine, a partire dal 2020, l’adozione di una nuova metodologia comune per misurare le perdite e gli sprechi alimentari (FLW). A livello nazionale, è poi possibile osservare risposte strategiche degne di nota in Francia e in Italia. La prima, nel 2016, è stata il primo Paese al mondo a promulgare una legge nazionale contro le perdite e gli sprechi alimentari. La seconda ha emanato una nuova legge per agevolare le donazioni alimentari snellendo la burocrazia che le ostacola, allentando i requisiti di sicurezza alimentare e la normativa sull’etichettatura e sulla sicurezza alimentare e offrendo incentivi fiscali (ovvero, detrazioni dalle imposte sui rifiuti). Infine – ricorda il Rapporto – non va dimenticato che molte città europee stanno avviando iniziative importanti per contrastare i paradossi della filiera alimentare e fondare una vera economia circolare del cibo.
All’elenco dei capitoli virtuosi deve poi essere aggiunto anche quello relativo alla lotta contro il cambiamento climatico globale, su cui l’agricoltura agisce in modo netto, essendo responsabile di circa il 10% delle emissioni totali di gas a effetto serra nell’Ue. Per contrastare questo fenomeno è stato messo a punto da Bruxelles il Green Deal europeo, un ambizioso pacchetto di misure volto a rendere l’Ue il primo continente climaticamente neutro al mondo entro il 2050 e a dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse. La Politica agricola comune (PAC) post-2020 tenterà inoltre di dare maggiore importanza all’ambiente e al clima.
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