Non bastava il caso Siri ad agitare le acque in casa Lega, ora è la Procura Generale di Milano ad impugnare la sentenza di assoluzione di Renzo e Umberto Bossi per un nodo imputabile al segretario attuale, Matteo Salvini: è di nuovo il “caso” dei Fondi Lega a rendere frenetica la discussione nel Carroccio, già sotto attacco dai rivali-alleati di Governo del Movimento 5 Stelle per le dimissioni di Armando Siri. Secondo il pg di Milano va estesa anche a Umberto Bossi e al figlio Renzo la querela presentata mesi fa dal vicepremier Salvini solo contro l’ex tesoriere Francesco Belsito: a gennaio la Corte d’Appello ha assolto per improcedibilità i due Bossi, ‘salvati’ proprio dalla mossa del vice premier, condannando invece l’ex tesoriere a 1 anno e 8 mesi e 750 euro di multa. Erano tutti imputati per l’uso per fini personali dei fondi dell’ex Lega Nord, ma con quella “mossa” Salvini salvò di fatto la stabilità interna, pur non avendo mai dimostrato grande attaccamento al Senatur. Nelle tre pagine indirizzate alla Cassazione, il sostituto pg Maria Pia Gualtieri sostiene che una valutazione da parte dei giudici d’Appello aderente” alla norma (art.123 codice penale) e «in linea con i consolidati orientamenti della giurisprudenza avrebbe consentito di estendere gli effetti della querela presentata da Matteo Salvini nei confronti di tutti gli imputati (Bossi Umberto, Bossi Renzo e Belsito Francesco) per tutte le illecite operazioni appropriative, rimuovendo l’ostacolo alla procedibilità».



FONDI LEGA, IL NUOVO CAPITOLO E IL CAOS-BOSSI

In poche parole, il procuratore ritiene che la querela presentata da Salvini sia in realtà assimilabile a tutti e tre gli imputati perché «unico è il disegno criminoso»: per questo motivo allora la sentenza sull’assoluzione potrebbe saltare del tutto, riaprendo improvvisamente il tema spinoso sui famosi 49 milioni di fondi della Lega spesi e non più restituiti. Per il sostituto pg non è possibile «parcellizzare le condotte di ciascun imputato in quanto dalla valutazione complessiva del Compendio probatorio (…) si comprende come l’agire di ognuno consentiva e rafforzava la volontà illecita dell’altro». In conclusione – si legge nel ricorso per Cassazione – «Belsito senza l’autorizzazione di Umberto Bossi non avrebbe potuto operare le appropriazioni mentre il fondatore del Carroccio e il secondogenito senza l’apporto materiale di Belsito (…), non avrebbero potuto beneficiare delle somme illecitamente sottratte alla Lega Nord». Secondo la ricostruzione del procuratore generale, Umberto Bossi mentre era segretario della Lega «autorizzava i prelevamenti e i pagamenti a favore di se stesso o di terzi», Belsito amministrava la «disponibilità del denaro, realizzava i pagamenti estranei ai fini e agli interessi del partito politico» mentre i figli Riccardo e Renzo «erano i richiedenti e i beneficiari delle somme di denaro della Lega Nord».

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