Il 20 luglio la Commissione europea ha adottato i Rapporti del 2021 sull’osservanza dei princìpi dello “Stato di diritto” in ciascuno dei 27 Stati membri, unitamente a un documento di sintesi. Non stiamo qui ora a sottolineare le questioni concernenti in materia anzitutto Polonia e Ungheria, che hanno anche portato a sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea in specie sulla compressa indipendenza della magistratura. Piuttosto, il Rapporto sull’Italia rileva criticità, fra le tante, nel settore dell’amministrazione della giustizia (circa la lunghezza dei procedimenti), nel settore dei contratti pubblici (la semplificazione di cui tanto si parla potrebbe favorire la corruzione), nella libertà dei mezzi di comunicazione (per intimidazioni verso i giornalisti), nel perdurante stato di emergenza sanitaria (che rischia di emarginare il Parlamento), nelle tante riforme che in Parlamento ancora giacciono. 



Fra queste ultime ci limitiamo a citare quelle sui conflitti di interessi; sui tempi del processo; sul pubblico dipendente che passando al settore privato senza soluzione di continuità vi sfrutta indebitamente conoscenze acquisite nella Pa (cosiddetto pantouflage o sliding doors); sulla regolazione delle lobbies; sulla creazione di un’autorità nazionale indipendente per i diritti dell’uomo; sulla gestione dei flussi migratori.



Come interagisce il giudizio espresso dalla Commissione con l’attuazione del Pnrr? Anzitutto si potrebbe considerare la valutazione che la Commissione dà del decreto legge “semplificazioni” dello scorso anno (n. 76/2020, convertito nella legge n. 120/2020). Esso – dice la Commissione – «ha introdotto un regime speciale per l’aggiudicazione degli appalti pubblici», nonché «misure che si concentrano su procedure rapide e aggiudicazioni dirette senza concorrenza ufficiale, su procedure di aggiudicazione semplificate e su sanzioni per chi sospende o rallenta l’affidamento e l’esecuzione di lavori pubblici»: queste sono «tutte cose che rischiano di favorire la corruzione». L’Italia sta proprio continuando su questa strada: è in via di conversione in questi giorni il decreto “semplificazioni bis e governance del Pnrr“, n. 77/2021, che prolunga le misure contenute nel primo decreto “semplificazioni“.



Risulta poi molto rilevante per la fase di attuazione dei progetti contenuti nel Pnrr la valutazione della Commissione sulle criticità di cui soffre, in Italia, il cosiddetto accesso civico generalizzato alle informazioni della Pa. Viene sottolineato che quest’ultima oppone tanti rifiuti alle richieste dei cittadini, giustificati spesso in modo vago, senza sufficiente motivazione. È noto che la trasparenza è il miglior antidoto proprio alle condotte di cattiva amministrazione e in generale di illegalità pure e semplici: non consentire un ampio accesso alle informazioni, ai dati e ai documenti significa abbassare il livello di trasparenza sull’agire della Pubblica amministrazione e dunque limitare l’esercizio del diritto del cittadino a svolgere un controllo diffuso; impedisce, in definitiva, l’accesso alla conoscenza, presupposto per una cittadinanza consapevole. 

Questa rilevazione effettuata dalla Commissione non è un buon viatico per ciò che dovrebbe accadere in occasione dell’attuazione del Pnrr: saranno adeguatamente conoscibili le modalità, la tempistica, i risultati conseguiti dai tanti progetti di investimento contenuti nel Pnrr? L’Unione europea lo richiede, ma la piattaforma elettronica contemplata dall’art. 1, comma 1043, della Legge di bilancio per il 2021, piattaforma che dovrebbe essere costituita presso il ministero dell’Economia e delle finanze proprio per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni sul Pnrr non ha ancora visto la luce (nulla si sa sul fatto che il processo di sua costruzione sia iniziato), mentre la prima tranche di finanziamenti (circa 25 miliardi di euro) dovrebbe essere consegnata all’Italia entro la fine di luglio, a seguito dell’avvenuta approvazione del Pnrr italiano da parte prima della Commissione e poi del Consiglio Ecofin (ministri nazionali dell’Economia e delle Finanze) dell’Unione.

La Commissione riscontra inoltre problemi circa la libertà dei mezzi di comunicazione. In particolare, «continuano a destare preoccupazione le aggressioni fisiche, le minacce di morte e le altre forme di intimidazione subite dai giornalisti. Dopo l’ultima relazione sullo Stato di diritto (si tratta del Rapporto sullo Stato di diritto del 2020, adottato il 30 settembre dello scorso anno, ndr) la piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti ha registrato otto segnalazioni relative all’Italia, e riguardanti fra l’altro incendi dolosi, aggressioni fisiche, casi di seria intimidazione e minacce online». Se la libertà di espressione del giornalista è coartata, anche il diritto del cittadino all’informazione viene pregiudicato. 

Questa situazione mette a rischio ancora una volta la trasparenza sull’agire della Pubblica amministrazione, riducendo il diritto del cittadino alla conoscenza. Eppure c’è chi già nel 2017 avvertiva che si era in presenza, a livello internazionale ed europeo, di «un progetto ormai compiuto di garanzia di livelli sempre più stringenti di trasparenza, nel cui quadro la piena accessibilità ai dati e alle informazioni in possesso delle amministrazioni risulta strumentale a un controllo diffuso, avente a oggetto in particolare l’utilizzo delle risorse pubbliche» (così M.C. Romano, Il ruolo e le competenze di ANAC sui contratti pubblici, in Corruzione e pubblica amministrazione, a cura di M. D’Alberti, ed. Jovene, Napoli, p.771). È evidente l’arretramento in Italia rispetto a questo standard. È preoccupante la noncuranza con cui il nostro Pnrr grossolanamente imputa proprio ai procedimenti di trasparenza incentivi alla corruzione.

Quale conseguenza discende da questo Rapporto della Commissione? Il “meccanismo” europeo di valutazione sui princìpi dello Stato di diritto si sostanzia in raccomandazioni che annualmente l’Unione indirizza ai Paesi membri per aiutarli a osservare in concreto i valori sui quali si basano tanto l’Ue quanto gli Stati che ne fanno parte. Infatti, «l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini» (così l’art. 2 del Trattato sull’Unione europea).

La valutazione che spetta al “meccanismo” è organizzata intorno a quattro cosiddetti “pilastri”: l’amministrazione della giustizia, il contrasto alla corruzione, la libertà e il pluralismo dei media, il bilanciamento dei poteri, con un occhio di riguardo al Rapporto con la società civile. Da questo “meccanismo” non scaturiscono sanzioni a carico del Paese che presenta criticità. Ma l’adempimento o l’inadempimento delle raccomandazioni viene valutato nel Rapporto dell’anno successivo. 

Inoltre, il regime delle condizionalità, disciplinato dal regolamento Ue 2092 del 2020, cui è subordinata l’erogazione delle risorse finanziarie stanziate nel quadro del NextGenerationEU, contempla l’obbligo per lo Stato di tener conto delle raccomandazioni contenute anche nei Rapporti sullo Stato di diritto, oltre che nell’ambito di quell’altro procedimento annuale di valutazione della situazione degli Stati membri denominato “semestre europeo”.

Tanto basta a spiegare l’importanza che riveste per l’Italia il Rapporto appena approvato. L’esigenza di proteggere il bilancio dell’Unione – da considerarsi per eccellenza bene comune degli Stati membri e dell’Organizzazione – potrebbe infatti appunto determinare la sospensione totale o parziale nell’erogazione di risorse finanziarie europee (con possibilità di ripresa nel caso di ravvedimento), la risoluzione di accordi di finanziamento, il recupero di fondi già erogati (artt. 5-6 del regolamento sopra ricordato).

Si tratta peraltro di ipotesi che si sono già affacciate per altri Stati membri (Polonia e Ungheria in specie), dunque non sono destinate a rimanere solo teoriche.

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