Se ci soffermiamo ai dibattiti televisivi e alle estenuanti dirette per le votazioni dei presidenti di Camera e Senato, traboccanti di retroscena sugli appunti delle richieste di posti nel governo e sulle liti interne alla nuova maggioranza, sembra di vivere in un grande asilo Mariuccia, complici anche i più autorevoli giornalisti sempre più inclini a discettare di gossip, in quanto sembrano essere l’esca giusta per raccogliere copie e audience.
In realtà, in poche ore sono successi fatti importanti. Appena eletto presidente del Senato, il senatore La Russa (FdI) ha condiviso “ogni parola” pronunciata dalla senatrice Segre, accettando l’invito alla pacificazione riguardo ad antiche divisioni e a ferite mai rimarginate.
Invece di plaudire a questi atti di sano revisionismo, diversi esponenti della cultura progressista sono partiti all’attacco sostenendo che certe ferite “non devono essere rimarginate, ma devono rimanere memoria viva”. In questo atteggiamento c’è una delle spiegazioni dell’insuccesso elettorale dei loro partiti di riferimento: invece che proporre una visione del mondo in positivo, si preferisce attaccare l’avversario rinfacciandogli le sue pecche, anche se molto lontane nel tempo.
Il giorno dopo il centro-destra ha votato all’unanimità come presidente della Camera Lorenzo Fontana (Lega), una personalità genuinamente conservatrice, di religione cattolica sempre dichiarata, e per nulla schiavo della woke culture. Nel suo discorso di investitura ha volato alto, citando assai a proposito san Tommaso e il beato Carlo Acutis, inneggiando inoltre al valore delle differenze.
Niente da fare. Subito è partito all’attacco Enrico Letta via Twitter: “Peggio di così nemmeno con l’immaginazione più sfrenata. L’Italia non merita questo sfregio”.
Ecco il vero punto, ben più importante delle scaramucce per i ministeri: il risultato della volontà popolare e le prime scelte della coalizione vincente possono essere l’inizio di un grande cambio di paradigma non solo al governo, ma nell’intera società italiana.
Lo stesso Enrico Letta ha ammesso che la sinistra progressista ha governato per una decina di anni senza legittimazione popolare. Ma ha dimenticato di dire che l’egemonia culturale di sinistra ha dominato ovunque dal 68 in poi: nella musica, nell’organizzazione dei concerti, nell’editoria, nella stampa, nell’università, dove facevi carriera solo se ti agganciavi al potere diffuso di una sinistra che ha abbandonato la difesa dei poveri e degli umili per andare a braccetto con i poteri forti.
Ma non solo. Ha abbracciato anche l’ideologia gender e la woke culture che nel frattempo ha invaso ogni ambito della vita contemporanea, da quello professionale a quello sociale.
Si capisce quindi perché si è gridato allo scandalo per le nomine di Fontana e La Russa. Lo scrittore Carofiglio è giunto persino a stigmatizzare il concetto di patria… perché escluderebbe la madre (sic!). Dimenticando a quale orrenda schiavitù riduce una madre l’utero in affitto, al fine di poter dare un figlio a una coppia omosessuale.
Così la Boldrini, che ha fatto della sua presidenza un centro di propaganda per l’ideologia gender – supportata dagli strilli e dalle invettive di Rula Jebreal – teme ora che Fontana osi promuovere la famiglia tradizionale. Come ha detto giustamente Georgia Meloni, “Che curiosa idea della democrazia, che avete”.
Lo aveva già previsto Pasolini: “Profetizzo un’epoca in cui il nuovo potere utilizzerà le vostre parole libertarie per creare un nuovo potere omologato, per creare una nuova inquisizione, per creare un nuovo conformismo. E i suoi chierici saranno chierici di sinistra”.
Osservando le prime mosse e i riferimenti culturali dei discorsi dei due neo-presidenti, si intravvede un atteggiamento assai meno prevaricatore di quello applicato dai progressisti antropologicamente superiori, che anche negli ultimi giorni della legislatura morente si sono affrettati ad occupare il maggior numero di posti possibili nei più diversi gangli dello Stato. Mentre Draghi, nell’ultimo Consiglio dei ministri, e in spregio ad ogni galateo istituzionale, ha impegnato i governi a venire con un piano anti-discriminazione dichiaratamente filo-Lgbtq.
Rimettere le cose a posto non sarà quindi per nulla semplice. Ma l’occasione per agevolare il cambio di paradigma epocale che si è avviato non può essere mancata.
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