Nei mesi della pandemia molti consumatori hanno scoperto la comodità e i vantaggi del food delivery, ovvero del servizio che consente di ricevere comodamente a casa pranzetti succulenti e specialità pronte da essere servite a tavola. E così il settore ha macinato crescite importanti: nel nostro Paese, stando ai dati dell’Osservatorio ecommerce B2C Netcomm del Politecnico di Milano, ha registrato lo scorso anno un balzo del +17% rispetto al 2021, raggiungendo un valore di 4,8 miliardi di euro.
Oggi però l’espansione di questo comparto potrebbe incontrare qualche ostacolo imprevisto. L’home delivery viene infatti accusato di generare emissioni nocive per l’ambiente: secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore che a sua volta cita il Washington Post, i veicoli che si occupano delle consegne dei pacchi e del food a domicilio sono responsabili del 3% delle emissioni globali di gas serra. Ma il problema è che entro il 2050 il loro impatto salirà al 17%, complice un’accelerazione a tripla cifra del +567%.
E così alcune municipalità europee hanno deciso di correre ai ripari, arrivando a proibire l’insediamento di dark store e dark kitchen, ovvero dei negozi e delle cucine non aperti al pubblico, ma dedicati esclusivamente al delivery. L’accusa è netta: queste attività peggiorano la qualità della vita dei cittadini creando eccessivo disturbo e inquinamento. E da qui la decisione di “relegarle” nelle sole aree industriali della periferia urbana. Nella lista di chi ha scelto questa strada figurano già grandi città come Amsterdam, Rotterdam, Madrid e Barcellona.
Va detto però che a spingere verso questa soluzione non è soltanto il fattore ecologico: il capoluogo catalano, che ha adottato questo provvedimento lo scorso mese di gennaio, ha per esempio sottolineato anche la necessità di sostenere e salvaguardare le attività tradizionali che contribuiscono a costituire il tessuto urbano. La città ha così deciso che le dark kitchen possano essere insediate solo in contesti suburbani industriali, ma non in centro città o in zone caratterizzate da numerose attività familiari o tipiche. E non solo. l’amministrazione si è spinta perfino oltre, arrivando a bandire del tutto i “dark store” per “non danneggiare i negozi di quartieri e non peggiorare la qualità della vita dei residenti”. I dark store, su cui si appoggiano i servizi di recapito della spesa di operatori, andranno quindi riconvertiti in normali mini market oppure in magazzini all’ingrosso, ma senza collegamento al delivery.
E in Italia? Nel nostro Paese al momento sotto la lente c’è la questione della regolamentazione contrattuale dei rider. Ma non è escluso che il food delivery potrebbe anche qui doversi confrontare con questi altri nodi critici.
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