Le industrie alimentari italiane sono un affare di famiglia. Il dato emerge con assoluta chiarezza dall’edizione 2022 del Food Industry Monitor, che rivela come quasi 8 aziende su 10 – precisamente il 78% del campione interpellato – siano controllate da una o più “casate”.
Una vocazione familiare fortissima, quindi, quella della food industry, che spicca con ancora maggiore prepotenza se si guarda alla composizione dei Consigli di amministrazione: ben l’86% delle società familiari vede infatti sedere al tavolo delle decisioni esclusivamente membri della famiglia. Solo l’11% è guidato da CdA a composizione mista, che comprendono quindi membri esterni e interni alla famiglia, e ancora più residuale è la percentuale (3%) delle imprese che non hanno nominato in Consiglio alcun componente della famiglia, ma si sono affidate solo a professionisti esterni.
Ancora più sbilanciato è poi il quadro se si guarda alle cariche di vertice operative: in questo caso le funzioni di Ceo sono attribuite a un manager che non fa parte della famiglia solo in un risicatissimo 8% dei casi.
Una decisione che con buona probabilità prende le mosse dalla spiccata vocazione all’imprenditorialità del popolo italico, ma che trova anche un riscontro positivo nei risultati sul campo: secondo il report, infatti, le aziende a guida familiare registrano performance di redditività e produttività superiori a quelle che si affidano a un Ceo esterno. Lo stesso non vale però se si analizzano i livelli gestionali che supportano il vertice: in questo caso, infatti, le performance migliori sono ottenute dalle formule ibride, che prevedono l’affiancamento di un management team ai membri della famiglia.
Alla prova dei numeri, dunque, la formula dell’azienda familiare, sembra funzionare. Qualche problema nasce però al momento del passaggio di staffetta al vertice: il report sottolinea, infatti, che il 65% delle aziende è attualmente gestita dalla prima generazione, il 30% dalla seconda e soltanto il restante 4,5% dalla terza e quarta generazione. Come dire, insomma, che gli eredi riescono a raccogliere il testimone dai fondatori solo in un numero ristretto di casi. E questo rappresenta una criticità per il futuro non solo delle singole imprese, ma anche, allargando la lente di analisi, per l’intera filiera, che proprio in queste aziende familiari trova la propria spina dorsale. Una criticità resa ancora più preoccupante da un altro dato: l’età media degli amministratori è di circa 60 anni. E questo impone alla food industry di investire in strategie che assicurino un solido passaggio generazionale.
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