Neppure il combinato disposto di crisi energetica, impennata dei costi di produzione delle aziende e spettro di una recessione globale riesce a fermare la corsa del Made in Italy agroalimentare sui mercati esteri. Le esportazioni tricolore continuano mettere in fila risultati più che brillanti. The European House Ambrosetti ha stimato che nel 2021 l’export nazionale ha raggiunto la cifra record di 50,1 miliardi di euro, frutto di una crescita del 10,8% rispetto all’anno precedente, la performance annuale di crescita più alta mai registrata nell’ultimo decennio. E l’ultimo rapporto Ismea “La Bilancia dell’agroalimentare italiano” conferma il trend, attestando che nei primi sette mesi del 2022 le vendite all’estero hanno incassato introiti complessivi per 34,5 miliardi di euro, mettendo a segno un incremento di quasi il 18% sullo stesso periodo dello scorso anno.



L’Ismea fa notare che i dati in valore risentono della forte spinta inflattiva, ma sottolinea anche come siano cresciuti i flussi in volume delle referenze più rappresentative come pasta, prodotti della panetteria e biscotteria, vini spumanti, formaggi freschi e stagionati, prosciutti, pelati e polpe di pomodoro, a conferma che oltrefrontiera la presenza del Made in Italy a tavola è un fatto ormai irrinunciabile.



L’unica eccezione è costituita dal comparto della frutta fresca e trasformata, che evidenzia una riduzione delle esportazioni anche in valore dello 0,5% spinta dalle flessioni registrate da mele, kiwi e nocciole sgusciate.

Quanto alle destinazioni, il nostro export cresce a due cifre sia in ambito Ue (+21% nel primo semestre del 2022), sia presso i Paesi terzi (+16%), favorito, in quest’ultimo caso, anche da un euro debole sul dollaro. La progressione premia soprattutto gli Usa, che crescono del 21%, seguiti dalla Francia (+18%). Bene anche la Germania (+11%), primo mercato di sbocco per il nostro Made in Italy. Come pure buone performance sono state fatte segnare dal Regno Unito, quarta destinazione per importanza, dove le vendite sono aumentate del 19% a dispetto dei segnali rallentamento dei due anni precedenti che avevano alimentato diffusi timori per le conseguenze della Brexit. Da segnalare, infine, il forte incremento delle esportazioni verso Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca, mentre risultano in controtendenza solo i flussi verso Cina e Giappone.



Va detto, però, che questi dati si devono confrontare con un forte incremento del valore delle importazioni agroalimentari che, sotto la spinta dei rincari delle materie prime agricole, hanno registrato una progressione del 29,2%, per un valore di 34,9 miliardi di euro. Un balzo che, dopo il surplus registrato nel biennio 2020-2021, riporta il saldo della bilancia commerciale in negativo, facendo segnare un deficit di 381 milioni di euro.

L’andamento positivo delle importazioni, tuttavia, suggerisce anche una chiave di lettura positiva: l’Ismea sottolinea infatti che rappresenta una spia della buona tenuta dell’attività di trasformazione del nostro Paese, nonostante la forte pressione sui costi cui sono sottoposte le industrie alimentari italiane.

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