La medaglia d’oro va alla triestina Illycaffè, incalzata però da un nutrito manipolo di aziende cui va quella d’argento. Sul secondo gradino del podio salgono infatti Loacker, Bolton, Eurovo, Gruppo Casillo e La Doria. E ancora più lunga è la lista delle aziende che conquistano il bronzo: ben 13 nomi illustri del panorama nazionale, tra cui si contano colossi come Bauli, Barilla, Ferrero, Granarolo, Lavazza. Sono queste le aziende che secondo il Food&Beverage Sustainability Italian Benchmark appena pubblicato da Standard Ethics, brillano nel nostro Paese per la capacità di essere allineate alle indicazioni internazionali volontarie in materia di sostenibilità (Onu, Ocse e Ue). 



Allargando però il grandangolo e passando dalle singole performance alla risposta complessiva data dalle 30 aziende prese in esame dallo studio emerge una fotografia in chiaro-scuro circa il rapporto tra industria alimentare e sostenibilità. L’analisi dei casi esaminati consegna una generale risposta positiva su due fronti. Il primo è quello del prodotto. In tutti casi esaminati, la qualità e la sua sostenibilità sono curati secondo gli orientamenti internazionali e adeguatamente rendicontati. E l’industria italiana si conferma un punto di riferimento a livello mondiale in termini di qualità e creatività. 



Il secondo fronte rimanda invece ai sistemi di produzione, dove le nostre imprese risultano significativamente affidabili e tecnologicamente avanzate. Il campione esaminato si distingue, infatti, per buone pratiche in tema di tracciabilità, packaging, sicurezza e salute del lavoro. E ancora, è promosso se si valutano i sistemi di qualità, la gestione dei rischi operativi, l’uso e la rendicontazione delle materie prime, il benessere animale, l’informazione verso il consumatore. 

Meno positivo è invece il bilancio se i riflettori si spostano dall’operatività all’ambito strategico e corporate. La nozione di sostenibilità – rileva lo studio – appare spesso confusa con la filantropia, con principi soggettivi di natura etica, con il concetto di Responsabilità Sociale di Impresa (o CSR) o con meri obblighi di legge. E questo genera ambiguità nell’uso dei termini. Ma non solo. Il report rileva anche carenze nel rilascio di informazioni su punti chiave come struttura di governance, modelli gestionali, azionariato. Non sono infrequenti – avverte lo studio – marchi di respiro mondiale che non forniscono informazioni di base come la composizione del Consiglio di amministrazione tra i dati disponibili sul sito corporate. Ed esistono anche margini di implementazione – osserva sempre il report – sul fronte della qualità e della disponibilità di informazioni relative alle iniziative Esg (acronimo che sta per Environmental, Social and Governance), incluso il posizionamento aziendale concreto rispetto agli obbiettivi internazionali e alle relative tempistiche. 



I risultati e le analisi dell’indagine saranno presentati a Villa Necchi a Milano il prossimo 23 maggio nell’ambito del Global Summit “La Sostenibilità Fattore Di Crescita Delle Aziende Nel Settore Agro-Alimentare” organizzato dalla Fondazione Gambero Rosso.

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