Si svolgerà oggi la XXII edizione della Giornata nazionale della Colletta alimentare, la più grande iniziativa di solidarietà, che solo l’anno scorso ha visto la partecipazione in Italia di 145mila volontari, che in oltre 13mila punti vendita hanno raccolto derrate per i poveri. L’iniziativa, oltre all’indubbio valore civile e sociale, ha anche un significativo risvolto di natura economica. Ne abbiamo parlato con l’economista Sebastiano Bavetta, professore ordinario di Economia politica nel Dipartimento di Scienze economiche, aziendali e statistiche dell’Università di Palermo.



Partiamo dal dato più evidente: 8.200 tonnellate di alimenti raccolti l’anno scorso, che esprimono un altrettanto indubbio valore economico. Come giudica un economista questo dato?

Indubbiamente 8.200 tonnellate sono un numero importante per sé, che rivela anche lo sforzo organizzativo e umano che la colletta alimentare è capace di mettere in funzione in un solo giorno ogni anno. Ancora più interessante, dal punto di vista di chi riflette sulla società, è il numero dei donatori: i dati della Fondazione Banco Alimentare ci dicono che l’ultimo sabato di novembre circa 5 milioni di italiani fanno la spesa per i più bisognosi. Se immaginiamo una media di 5 euro per donatore, dato esperienziale e abbastanza realistico, il conto è presto fatto: 25 milioni di euro in un solo giorno che vengono direttamente dalla carità delle persone e senza la mediazione della mano pubblica. E probabilmente la cifra è approssimata per difetto. Per me è un bellissimo segnale di speranza e solidarietà.



Si tratta di produzione di valore economico o è solo un aspetto di redistribuzione della ricchezza prodotta? Quindi, quanto incide in concreto sul reddito delle famiglie povere?

La solidarietà privata non è mai soltanto redistribuzione, perché è anzitutto espressione della libertà della persona e dei valori migliori del capitalismo: l’attenzione verso chi ha di meno; la percezione che la società sia un corpo della cui salute e buon funzionamento siamo tutti, individualmente e solidalmente, responsabili; l’idea che l’accesso a opportunità ragionevolmente simili, soprattutto su alimentazione, sanità e istruzione, sia una condizione irrinunciabile di una società civile e, allo stesso tempo, nell’interesse di ciascuno. Non a caso l’entità delle donazioni di cui beneficia la Colletta alimentare è maggiore dove i valori dell’impegno personale e le virtù civiche sono avvertite in maniera più marcata.



I dati Istat diffusi a giugno sulla povertà in Italia dimostrano che essa è in aumento, da qualunque punto di vista la si giudichi. I beni alimentari raccolti nella Giornata della Colletta come e quanto aiutano le famiglie povere? Quindi, quanto incide in concreto sul reddito delle famiglie povere?

I numeri del Banco Alimentare sono la migliore testimonianza della validità della solidarietà privata nella lotta alla povertà. La Rete Banco Alimentare nel 2017 ha distribuito oltre 90mila tonnellate di alimenti, che equivalgono ad oltre 180 milioni di pasti (1 pasto equivale a 500 grammi di cibo secondo la stima adottata dalla European Food Banks Federation). Ma c’è anche un altro dato sorprendente. La stima parte dal valore medio di un kg di cibo distribuito è pari a circa 2,7 euro, se questo valore viene moltiplicato per la quantità totale di alimenti distribuiti si ottiene il valore complessivo del cibo rimesso in circolo, che assomma a circa 245 milioni di euro. Se si divide questa cifra per i costi operativi, pari a circa 12 milioni di euro, si ha il risultato che ciascun euro donato procura 21 euro di alimenti distribuiti. Un effetto leva davvero notevole.

Che cosa significano questi numeri?

È chiaro che dietro l’operare del Banco Alimentare agisce un formidabile moltiplicatore della gratuità che permette la ripetizione dell’evangelica moltiplicazione dei pani e conferma l’importanza della solidarietà privata nella lotta contro la povertà, in generale, e contro quella alimentare, in particolare. Dal punto di vista del sistema economico Italia, il moltiplicatore della gratuità è il più grande insegnamento dell’esperienza del Banco Alimentare: liberare la creatività e l’impegno della persona nel disegnare il proprio percorso di impegno sociale è il miglior antidoto contro la povertà. Purtroppo è un insegnamento che nel nostro Paese non ha ancora fatto breccia. Le iniziative del Terzo settore non sono defiscalizzate, la sua riforma organica non è ancora operativa e si continua a diffondere e coltivare l’idea che la soluzione dei problemi sociali sia un compito dello Stato. Tutto questo a dispetto del fatto che dietro l’operare dello Stato agisce piuttosto un divisore della gratuità, che lo Stato si porti dietro inefficienza e riduzione delle libertà personali e che la struttura degli interessi del ceto politico, soprattutto locale, incentivi a coltivare la professione di bisognoso.

La Colletta alimentare è, e deve rimanere, un evento eccezionale, per quanto annuale, e di alto valore sociale. In attesa di interventi legislativi e politici sempre attesi, come la società civile, i cittadini che lo desiderano possono aiutare le famiglie povere con interventi più strutturati e organici?

Credo che per tutti noi questa domanda ponga un “problema di realtà”: preso atto delle circostanze e dei vincoli istituzionali prevalenti, cosa posso fare come persona per migliorare in maniera strutturale la lotta alla povertà e all’esclusione sociale? Anzitutto, esiste già un quadro ampio e diversificato di politiche volte a combattere la povertà e l’esclusione sociale. Certamente è migliorabile e non sempre è ispirato dal valore della sussidiarietà, ma è comunque il punto di partenza di ogni comportamento individuale. In questo quadro, un impegno importante ricade sugli operatori delle politiche sociali, nel Terzo settore, nella pubblica amministrazione, nei corpi intermedi della società, quali cittadini coinvolti in prima linea nella lotta contro la povertà e l’esclusione sociale a far funzionare efficacemente gli strumenti già esistenti. Per tutti gli altri che comunque sono mossi dal desiderio di impegnarsi per l’inclusione sociale, la mia esperienza in questi anni di lavoro su diverse linee di intervento – dal Fami al Rei, il reddito di inclusione – suggerisce che la cosa più importante sia “fare rete”, sviluppare, in altre parole, dei network di assistenza nelle specifiche iniziative che si decide di assumere. Perché, come insegna la storia del Banco Alimentare, la povertà non si vince da soli.

(Francesco Inguanti)