“Se cercate un lavoro nel settore alimentare, Parmalat offre interessanti opportunità di inserimento e stage principalmente nella sede di Parma. Andiamo allora a conoscere meglio l’azienda, i profili e le aree di inserimento e tutte le offerte di lavoro Parmalat disponibili al momento”. E’ grottesco l’annuncio economico che ancora ieri sera campeggiava su un sito web di annunci. Altro che opportunità d’inserimento. Il colosso francese Lactalis, proprietario della Parmalat dal 2011, ha deciso di ritirare la società dalla Borsa di Milano con la cosiddetta Opa residuale, e varare una riorganizzazione che fa trasferire tutti i quartier generali autonomi del gruppo, compreso quello italiano, direttamente sotto la guida francese, di stanza a Lavat, dove i signori Besnier governano.



Non significa che necessariamente Parma sia una sede destinata a chiudere, ma certo a perdere ogni importanza strategica. Collecchio tornerà un anonimo paesino della provincia parmense.

Di certo l’occupazione non ne beneficerà. Ed è l’ennesimo colpo basso che Besnier sferra contro l’Italia, dopo aver usato il miliardo e mezzo trovato nelle casse dell’allora risanata Parmalat per comprare se stessa, cioè la propria controllata americana, dissanguando quella italiana.



C’è un nesso tra questa mossa e la contrapposizione Italia-Francia esplosa negli ultimi mesi di governo gialloverde, dalle polemiche sugli sconfinamenti della polizia di frontiera francese al confine italiano di Ventimiglia? Ma certo che c’è. Magari non operativo – Lactalis è una società privata, e non risponde agli ordini di Macron come un gendarme qualsiasi – ma culturale e politico senz’altro sì che c’è, il nesso.

Lo sciovinismo dei nostri cugini è proverbiale, soprattutto contro di noi. La spocchia del commissario europeo francese Moscovici è talmente palpabile da essere diventata oggetto della satira di Crozza.



L’aggressività di quel che resta del governo Macron contro gli interessi italiani è plasticamente rappresentata dall’opposizione a spada tratta contro l’acquisizione dei cantieri Saint Nazaire da parte della nostra Fincantieri: appartenevano a un gruppo coreano al quale le istituzioni francesi avevano consentito dieci anni fa l’acquisizione – altri tempi! –, i coreani sono falliti, Fincantieri ha rilevato i cantieri del fallimento ma a noi, a noi italiani, le stesse istituzioni francesi contestano ancora oggi il diritto di rilevare il pieno controllo degli impianti.

Siamo i cugini antipatici da umiliare. Siamo sempre les italiens che perfino dietro la guida di Silvio Berlusconi imprenditore, allora vincente e non politico, non vennero considerati degni di gestire un network televisivo nazionale forte in Francia come La Cinq e vennero in tutti i modi osteggiati fino ad essere respinti oltre confine.

Guai ai vinti, si potrebbe dire parafrasando il barbaro Re Brenno, forse non a caso francese anche lui. Sono passati duemila anni ma è sempre la stessa storia. Altro che libertà di “stabilimento”, quel diritto imprenditoriale teoricamente garantito dai patti dell’Unione Europea.

Secondo i nuovi piani organizzativi dei francesi, Parmalat Italia verrà accorpata a Lactalis Italia, la società che oggi ha Galbani. E Parma resterà solo una fabbrica di formaggi e formaggini, senza personalità qualitativa e forse con molto meno personale, almeno non tutti e 80 i dirigenti di oggi.

Mentre tra il 2010 e il 2011 le aziende italiane del settore alimentare erano lì a temporeggiare, spaventate dalla crisi bancaria e dalla difficoltà di farsi finanziare, Lactalis fece un’acquisizione che si rivelò a dir poco un affare. Comprò Parmalat “levereggiandola”, cioè indebitandola, per pagare se stessa: spesero 3,3 miliardi, ma una metà se li ripagarono subito prosciugando il miliardo e mezzo di liquidità che Parmalat aveva in pancia. Naturalmente i compratori indorarono la pillola millantando, per il futuro della neocontrollata italiana, meravigliosi progetti di espansione. Tutte palle. Promesse disattese. E senza un filo di resistenza da parte delle nostre istituzioni. Ecco un buon esempio di cosa significa essere “un paese in declino”.