È stato espulso dalla Turchia il primo foreign fighter, nel caso specifico un jihadista americano, e come previsto non è stato accettato in patria, rimanendo bloccato in quella sorta di terra di nessuno al confine fra Turchia e Grecia. Erdogan, però, minaccia di continuare con le espulsioni. Nelle prigioni turche ci sono al momento circa 1.200 foreign fighters, ma se ne stanno aggiungendo altre centinaia dalle zone della Siria occupate nelle settimane scorse. “È un problema gravissimo” avverte Stefano Piazza, esperto di sicurezza e terrorismo. “Ritengo tuttavia che i paesi occidentali facciano bene a respingere i miliziani dell’Isis, anche perché sussistono seri problemi legali e soprattutto di sicurezza”.



Erdogan ha detto che la Turchia si è occupata dei jihadisti per anni, adesso tocca all’Europa e all’America, paesi che non hanno mai preso una posizione ufficiale sul problema del ritorno a casa dei miliziani. Ritiene che ci siano delle colpe da parte dei governi occidentali?

In realtà penso che ogni volta che Erdogan si permette di aprire la bocca su questo tema qualcuno dovrebbe ricordargli alcune cose.



Quali?

Erdogan ha convissuto e collaborato per anni con lo stato islamico. La Turchia ha acquistato da loro il petrolio che rubavano, è diventata un hub di arrivo per migliaia di foreign fighters, ha fatto passare centinaia di camion contenenti armi per i jihadisti agevolandone il passaggio, mentre i magistrati turchi che hanno scoperto questo traffico sono finiti in carcere, perché hanno rivelato gli affari sporchi cui era dedito uno dei figli del sultano di Ankara.

È vero, ma togliere la cittadinanza a persone che sono andate a combattere per l’Isis è una misura adeguata o crea solo una situazione di caos?



Che i paesi europei abbiano deciso di togliere passaporti e cittadinanza ai cosiddetti binazionali trovo che sia una misura perfetta. Nazioni come il Belgio, l’Olanda o la Germania non sono attrezzati per ricevere queste persone, che comunque rappresentano un pericolo per la sicurezza nazionale. A casa loro farebbero solo disastri.

Si potrebbero processare e condannare, non crede?

Su quali basi? Come si può provare che hanno commesso atrocità? Sono cose presunte. C’è un problema di carattere legale e uno pratico. Condannarli in base a cosa?

Si potrebbe attivare un tribunale internazionale, come già fatto ad esempio per i crimini nella ex Jugoslavia. Che ne pensa?

Sarebbe un’iniziativa che sicuramente risolverebbe molti problemi, ma conoscendo le tempistiche dell’Europa chissà quanto ci vorrebbe. Direi anche che manca proprio la volontà politica di farlo. Ogni paese pensa ai suoi interessi, non c’è alcuna vera unità di intenti.

Ritiene che le minacce di Erdogan faranno muovere in qualche modo i governi europei?

Non credo che alla fine Erdogan sarà in grado di mettere in atto questa minaccia. I numeri sono piuttosto elevati, si parla di 1.200 persone in carcere in Turchia, ce ne sono altri 300 fuggiti e altri 750 ancora detenuti dai curdi. Non credo che riuscirà a breve a realizzare quello che dice.

Quindi, a cosa punta davvero Erdogan?

Alla fine si tratta dell’ennesima provocazione di un leader che vive di queste cose. Invece di risolvere i problemi drammatici della Turchia, che soffre di un sistema economico ormai al collasso, distrae l’attenzione del suo popolo con queste minacce.

Magari cerca solo di ottenere altri soldi dall’Europa?

Certo, cerca di ricavare altri fondi dall’Unione Europea e di distogliere l’attenzione dalle atrocità commesse contro i curdi. Vorrei ricordare che insieme ai soldati turchi ci sono miliziani islamisti che massacrano i curdi, e lo provano documenti filmati e fotografie.

(Paolo Vites)