In piena pandemia milioni di studenti e insegnanti si sono trovati per la prima volta a fare i conti con modalità di formazione a distanza. Ma anche nelle aziende è successa la stessa cosa. Migliaia di docenti abituati a fare formazione d’aula si sono dovuti adattare velocemente e hanno dovuto improvvisare una nuova modalità di gestire le lezioni definita Didattica a distanza nelle scuole e nelle università o “teleformazione” o “teledidattica” nelle aziende, definizioni quest’ultime date soprattutto da parte dei  Fondi interprofessionali che sono la principale fonte di finanziamento della formazione in ambito privato.



I docenti hanno dovuto apprendere velocemente l’uso di strumenti ormai noti come Zoom, Teams, Weber, Google Meet e reinventarsi un ruolo: hanno dovuto acquisire nuove competenze tecniche, abituarsi a una nuova modalità di interazione dove l’alzare la mano a distanza ha un significato diverso rispetto all’alzare la mano in aula, dove preparare una lezione e presentarla richiede un’attenzione particolare soprattutto se non si è in grado di guardare negli occhi gli allievi, osservare le posture per capire se sono annoiati o interessati e, specialmente, se non si può avere quello che si chiama “il polso della situazione”: è questo “polso”, infatti, che permette di regolare il ritmo e i tempi della comunicazione del docente, di fargli decidere quando interrompere, quando porre domande per risvegliare l’attenzione, quando è il momento di aprire il dibattito.



La distanza, nella relazione didattica, ne aumenta la complessità e  rischia di ridurne l’efficacia: per questo la gestione di tale didattica richiede l’acquisizione di un nuovo alfabeto, di nuove competenze, saperi, abilità da parte di tutti i soggetti coinvolti, docenti e allievi.

Maestri, docenti di scuole medie e superiori, docenti universitari, docenti e formatori aziendali in pochi giorni hanno preso possesso, per continuare a gestire la didattica, di una nuova scrivania, di nuove lavagne. Il computer personale si è trasformato in una vera e propria scrivania digitale, il mouse ha sostituito il gessetto, il pennarello, il telecomando del videoproiettore.

Dall’altra parte il vissuto dell’allievo, sia esso studente che lavoratore, ha sperimentato una modalità di apprendimento che prima era abituale solo per una minima parte del mondo del lavoro e degli studenti delle università telematiche, ossia la modalità di seguire le lezioni e interagire con docenti e compagni di scuola e di corso solo in modalità virtuale con l’improvvisa scomparsa di tutto quel campo percettivo e relazionale dato dallo spazio fisico  e dalle mille interazioni  verbali e non verbali e relazioni informali tipiche delle aule.

La Didattica a distanza o Didattica online in Italia, prima dell’esperienza del lockdown, era un’attività presente marginalmente nelle scuole; solo alcune università avevano un’esperienza consolidata, mentre nelle aziende e nella Pubblica amministrazione italiana si ipotizza che la modalità di formazione a distanza non superasse il 7% dell’ammontare delle ore formative complessive, a eccezione delle grandi aziende tecnologicamente evolute e del mondo bancario e assicurativo, dove invece la modalità eLearning era ed è prevalente. Ma queste esperienze di Didattica online sono gestite con una modalità cosiddetta asincrona, cioè sulla messa a disposizione di corsi eLearning depositati su piattaforme digitali come Docebo, Moodle, Cornestone, che permettono allo studente di scegliere liberamente quando fare il corso,  senza interazione con docenti, con un registro digitale che riconosce quando lo studente accede e quando esce, con una quota marginale della modalità sincrona, cioè della Teledidattica, che è stata invece la modalità prevalente, anche per le aziende, durante la fase del lockdown.

Il bilancio è al momento pieno di luci e ombre. Le luci sono state quelle della scoperta di nuove potenzialità, e per le aziende di poter abbattere anche i costi, ma le ombre sono state quelle tipiche delle esperienze di innovazione affrontate senza preparazione, senza cioè quel bagaglio di competenze necessario per gestire esperienze ad alta complessità. Sono emersi problemi di efficacia dell’apprendimento, di difficoltà nel mantenere l’attenzione durante le lezioni a distanza, senza parlare del divario digitale, in termini di competenze e di infrastrutture, che caratterizza il nostro Paese.

Al tempo stesso è ormai diffusa la consapevolezza delle nuove potenzialità delle tecnologie per l’apprendimento, potenzialità che potranno essere pienamente utilizzate a condizione che si apra una riflessione sulla necessità di un approfondito processo di reskilling del corpo docente, che richiede l’acquisizione di nuove competenze e nuova cultura dell’apprendimento. Esse non si devono basare solo sulle competenze digitali che risultano fondamentali e da considerare come il prerequisito di base per una nuova didattica, ma non a scapito del tema dell’apprendimento del futuro, che dovrà essere continuo e ibrido, tra fisico e digitale, perché siamo ormai immersi in un nuovo mondo caratterizzato dalla pervasività delle nuove tecnologie.

In sintesi, la chiave del nostro futuro è quello dell’“insegnare ad apprendere” e “apprendere ad apprendere” negli ecosistemi scolastici e sociali fisici e digitali.