Quando pensiamo alla formazione spesso pensiamo al nostro percorso di studi o a momenti di formazione in aula, fisica o virtuale, che possiamo aver conosciuto durante le nostre esperienze lavorative. Ci sono tuttavia altri momenti in cui durante il nostro lavoro ci siamo trovati ad apprendere e a essere formati.
Ogni volta che abbiamo chiesto a un collega come poter risolvere un problema su excel, quando ci siamo bloccati un’ora su un problema del gestionale interno e poi l’abbiamo risolto tramite l’help desk, quella volta che abbiamo sentito un collega fare quella telefonata difficile con un cliente, in tutte queste e in molte altre occasioni, noi stavamo apprendendo.
Una formazione sul campo (on the job per usare gli inglesismi che tanto piacciono al mondo della consulenza), che è una ricchezza enorme in ogni organizzazione. Lo scambio costante tra colleghi è un grandissimo patrimonio formativo. Quegli spazi, spesso odiati dai lavoratori, denominati “open space” sono stati creati proprio per esaltare la capacità di condivisione delle persone.
Se ripensiamo agli anni della pandemia, con momenti di home working costrittivo, lockdown, talvolta vero e proprio telelavoro, oltre alle difficoltà quotidiane che ognuno di noi ha incontrato, un altro grande rischio è proprio aver perso la capacità di apprendere quotidianamente. Qualcuno ha imparato a cercare su internet le soluzioni per alcuni problemi, ma ci sono altri punti importanti. Per esempio, la mancanza di confronto sui problemi relazionali, quelli interni fra colleghi, ma anche quelli con fornitori o clienti. Perdere la facilità di contaminazione comportamentale che era completamente naturale e consuetudinaria nel mondo del lavoro pre-pandemia, oggi è un rischio molto vivo. Certo, abbiamo imparato a lavorare per obiettivi, a essere produttivi anche lavorando fuori ufficio, a non perdere troppe informazioni, ma stiamo continuamente apprendendo come facevamo prima in quegli “odiosi” open space? O anche nei classici uffici con poche scrivanie?
È una domanda che dovremmo farci tutti e che si dovrebbe fare ogni HR di ogni azienda. Qual è il livello di apprendimento e di autoapprendimento nella nostra organizzazione? Oltre a momenti di allineamento sui progetti, ci sono momenti di arricchimento costante tra i collaboratori dell’organizzazione?
I momenti di apprendimento che erano spesso inconsapevoli oggi devono far parte del mindset del lavoratore smart o del lavoratore di questo fin troppo citato new normal (in parole più povere, della nuova realtà che stiamo vivendo). Ci viene in soccorso una parola molto preziosa nel mondo del lavoro di oggi e cioè: la proattività. La proattività è l’opposto di quello che per decenni è stata l’idea del lavoro, aspettare che qualcuno in alto gerarchicamente dicesse cosa fare a qualcun altro più in basso nella piramide gerarchica. Sebbene gerarchie e imposizione di comandi ci sembri un modo di lavorare arcaico, mi permetto di dire che spesso il “modus pensandi” che incontro nelle organizzazioni non è ancora cambiato molto.
Quando attendiamo o pretendiamo una mail di conferma inutile, quando ci facciamo mettere in copia in ogni comunicazione senza leggerne nessuna, quando aspettiamo che ci arrivi un’informazione dall’alto per poter procedere nella nostra attività anche se saremmo in grado di proseguire senza quell’informazione, quando ci accorgiamo che avevamo tutti gli elementi alla portata, ma non abbiamo fatto nulla per reperirli, quando non ci è chiaro l’obiettivo e diamo la colpa a chi ce lo ha assegnato….e gli esempi potrebbero essere migliaia; ecco in quei momenti siamo più vicini a Fantozzi e al mondo del lavoro raccontato da Charlie Chaplin in Tempi moderni.
Non è facile creare un nuovo mindset, dopo anni di consuetudini diverse. Chi scrive, si ritrova spesso a vestire i panni del moderno Fantozzi, mentre attende qualcosa che può reperire da solo. Prenderne consapevolezza e agire per attuare un cambiamento è il primo passo per creare una nuova cultura interna e un nuovo mindset.
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