La fase post-Covid segnerà sicuramente l’inizio di una nuova era. Mentre nell’immediato le imprese hanno dovuto affrontare situazioni complesse e difficoltà dovute all’emergenza, dando priorità a scelte di breve termine, d’ora in avanti le stesse aziende dovranno riflettere a fondo su come poter velocemente adattare strategie e business model per evitare una depressione prolungata, migliorare la propria posizione competitiva ed essere pronte alle nuove sfide. I manager dovranno operare molte scelte su leve strategiche rilevanti in grado di supportare le rapide reazioni a cui le aziende dovranno tendere. I nuovi trend di domanda e offerta che andranno affermandosi determineranno nuove dinamiche dei mercati, e per riuscire ad alimentare un costante e proattivo processo innovativo dovranno inevitabilmente uscire dalla loro comfort zone, cambiando modelli, culture, processi e strutture aziendali.
Il CFMT ha proposto ai suoi 24.000 manager associati una survey in due diversi momenti della pandemia: la prima nell’aprile del 2020 e la seconda a gennaio 2021. In entrambe risultava evidente che i manager attribuivano un ruolo fondamentale alla formazione per sé e per i propri collaboratori, ma nella seconda survey tale importanza risulta notevolmente crescente rispetto al periodo precedente. Alla domanda su quali leve investirà l’azienda una volta che avremo superato lo stato di emergenza o quando questo allenterà la sua morsa, i dirigenti hanno risposto “formazione” nel 31,7% ad aprile 2020 e a gennaio 2021 nel 43,7% dei casi.
Indubbiamente, la formazione rappresenterà una leva primaria nel processo di adattamento a cui le aziende saranno chiamate, ma occorre essere chiari per evitare di generare aspettative che si rischia di vedere disattese. Il valore della formazione di per sé è neutro. Assume più o meno vigore a seconda della funzione che a essa si attribuisce: se incanalata nel solco di una visione lungimirante, prospettica, laterale e innovativa che le aziende devono avere, pur avendo cura di interpretarla secondo la necessaria fluidità, la formazione riveste una funzione di faro nello sviluppo di competenze necessariamente coerenti e funzionali alla visione di crescita; se, al contrario, la si inserisce nei programmi aziendali senza avere un’idea degli obiettivi a cui essa dovrà condurre, diventa poco più che un mero esercizio di sopravvivenza aziendale.
Che si tratti di competenza tecnica verticale, funzionale all’introduzione nel modello di business di un nuovo software o di un nuovo robot o di un nuovo prodotto, o che si tratti di formazione trasversale in grado di modificare la dimensione delle persone non solo in azienda ma nel mondo, nulla cambia. Perché risulti efficace, occorre conferire alla formazione un obiettivo. Tale obiettivo, a seconda dei casi, potrà essere individuale, aziendale o sistemico, inteso come visione di sviluppo strategico lungimirante del paradigma socio-economico di un Paese.
Credo sia superfluo soffermarci sull’importanza della formazione nel riassetto di un paradigma economico che uscirà profondamente modificato quando la presente pandemia sarà finita. Ma proprio adesso emerge l’importanza di una visione univoca di futuro verso cui far convergere le ingenti risorse di cui a breve si potrà disporre risulta imprescindibile.
Perché, vedete, l’uso delle risorse europee destinate al nostro Paese può andare in due direzioni fondamentalmente: la prima prevede che si utilizzino sostegni per tamponare il “qui e ora”, puntando non tanto a un cambiamento sistemico, ma a un’attesa affinché tutto torni a essere come prima; oppure si possono utilizzare le stesse risorse per costruire il futuro di un Paese attraverso la scommessa da fare sulle prossime generazioni, alle quali, al momento stiamo tramandando un lascito fatto di debiti, molti debiti, senza fornire loro alcuno strumento attraverso il quale provare a sanarlo. Insomma, non mi pare sia un caso se lo strumento principe di utilizzo delle risorse europee si chiama Next Generation Eu, no?
Occorre costruire una visione sostenibile di ciò che vogliamo che il nostro Paese diventi nei prossimi lustri, e solo dopo far convergere gli obiettivi della formazione svolta a tutti i livelli. Le competenze sono il volano del motore dello sviluppo, a patto che la macchina all’interno della quale inseriamo quel motore sappia quale strada deve percorrere. Ma attenzione a definire le strategie di crescita cogliendone le interconnessioni strutturali, le singole sfaccettature, le innumerevoli implicazioni, altrimenti il rischio che si corre è quello di costruire un modello di sviluppo claudicante.
Ad esempio, il ricorso preponderante a un tipo di lavoro da remoto è un’innovazione disruptive nei tradizionali modelli organizzativi, basati su visibilità e presenza fisica. Ai manager vengono chieste nuove capacità e una nuova cultura organizzativa basate su fiducia, responsabilità e orientamento al risultato. Per il lavoratore può essere un benefit, ma anche un elemento di destabilizzazione a livello professionale e personale. La formazione diventa lo strumento che accompagna sia i lavoratori che i responsabili affinché il lavoro agile sia efficace ed efficiente. Uno strumento che viene supportato anche a livello statale per mantenere alte le competenze all’interno delle aziende e a cascata anche le competitività delle stesse, per supportare il sistema Paese.
Gli strumenti a cui attingere per investire in formazione in Italia certamente non mancano. Fondo sociale europeo, in primis, ma anche fondi interprofessionali, enti bilaterali, il neonato Fondo Nuove Competenze e le ingenti risorse europee appena istituite e a breve nella disponibilità del nostro Paese, sono solo alcuni degli strumenti a cui aziende e persone potranno attingere. Ciò che però ritengo sarà indispensabile è convogliare tutte queste risorse, a cui ovviamente aggiungo anche quelle destinate alla scuola e all’università, verso una visione strategica di un futuro lungimirante nel quale costruire il nuovo paradigma socio-economico, con l’obiettivo di far convergere le competenze che saranno necessarie nei prossimi decenni.