Si nota con un certo stupore che, tra i media di ogni tipo, è scomparsa la nota frase di “populismo giudiziario” che ricalcava, al contrario, una grande conquista democratica. Al posto della certezza del diritto, da molto tempo si declamava con una compiacenza irritante la “certezza della pena”. Dimenticando che nello stato di diritto la pena è quasi sempre concepita come forma di reinserimento e di recupero delle persone nella vita civile e sociale. Deve essere intervenuto qualcuno a insegnare qualche nuovo principio di “educazione giuridica”.
Certo, c’è sempre chi dice con fervore “quello deve marcire in galera” e magari fa pure il ministro dell’Interno, ma, forse dopo tante prove di incredibili “incidenti”, si è suggerito un minimo di cautela e un mutamento di linguaggio e si è pure spinto qualcuno a declamarsi figlio di Cesare Beccaria e naturalmente garantista.
Bisognerebbe un giorno fare un elenco di questi “garantisti stagionali” (forse si avrebbe una sorta di parodia del libro sul fascismo come I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte. 1938-1948 di Mirella Serri) e magari bisognerebbe consigliar loro di leggere, oltre a Beccaria, anche il libro del nipote Alessandro Manzoni, Storia della colonna infame.
Ora giustizia e garantismo in Italia sono quasi una colossale presa in giro e gli episodi che si possono ricordare sono “millanta” che tutta notte canta. C’è la recente foto di uno dei killer del carabiniere Marco Cerciello Rega, con manette e benda sugli occhi, che indigna il mondo. Ma chi non ricorda il caso Cucchi? Chi ha dimenticato i fatti della scuola Diaz di Genova del 2001, dove si sollevarono interrogativi persino sul comportamento di Giovanni De Gennaro? E c’è qualcuno che ha dimenticato il caso di Enzo Tortora?
Poi, proprio dopo Tortora e un referendum che aveva umiliato la magistratura, la figura del “pm italico”, una rarità nel mondo giuridico occidentale democratico per una legge costituzionale che fu approvata con l’intento di cambiarla in altro periodo storico, divenne improvvisamente un protagonista della vita pubblica con Tangentopoli. Ci furono 38 suicidi, ma anche le manette in tribunale per Enzo Carra sul banco degli imputati, oltre a migliaia di indagati poi assolti: un caso che forse non sarebbe capitato neppure nel Burundi.
Eppure il garantismo è, secondo alcuni, un fatto in se stesso “senza senso”, perché non è lo Stato che deve dimostrare se sei colpevole o innocente, ma sei tu che devi documentare dettagliatamente la tua innocenza.
Mentre si discute di queste “sottigliezze” (secondo alcuni) giuridiche, Roberto Formigoni, ex Governatore della Lombardia, è stato recentemente condannato per corruzione a sette anni di carcere anche se, come ha detto l’avvocato Franco Coppi, “nessuno è riuscito a dimostrare la riconducibilità di un singolo atto di ufficio” alle cosiddette “utilità” di cui Formigoni avrebbe goduto.
Ma la recente “Italia garantista” si è superata mettendo in carcere, in un primo momento, Formigoni mentre stava compiendo 72 anni. Una mostruosità per un reato del genere, oltre tutto non dimostrato “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Ed è possibile che anche in questo caso la legge del Burundi ci possa insegnare qualche cosa.
Dopo qualche mese, viste anche le conseguenze che la carcerazione aveva sulla sua salute, Formigoni è stato messo agli arresti domiciliari. Ma naturalmente, una simile concessione non poteva che essere accompagnata da alcune decisioni di autentico garantismo a rovescio. Insomma, gli arresti domiciliari vanno “pagati”.
A Formigoni è infatti stato sequestrato quello che possedeva e gli è stato tolto il 100 per cento delle pensioni che aveva maturato, anche se c’è una legge che stabilisce che la pensione è aggredibile solo per il 20 per cento. Agli arresti domiciliari, Formigoni è, a 72 anni, di fatto un nullatenente. Potrebbe mettersi a lavorare (questo consiglio probabilmente spassionato potrebbe arrivare dalla signora Elsa Fornero), ma gli arresti domiciliari glielo impediscono e quindi il problema che si pone è: come può campare Roberto Formigoni?
Con tutta probabilità, sia lo Stato che le istituzioni repubblicane, che la magistratura, che dovrebbe “ispirarsi” agli insegnamenti di Cesare Beccaria, sembrano dare un consiglio spassionato all’ex governatore della Lombardia: sopravvivere! Nel nome del garantismo, s’intende.