Appena tornato da Islamabad insieme a 25 persone fuggite dai talebani, Oliviero Forti, responsabile per le politiche migratorie e la protezione internazionale di Caritas Italiana, racconta ad Avvenire che a fuggire sono quasi sempre i giovani “perché quando si parla di anziani si parla di persone di 55-60 anni. Questi rifugiati che arrivano dal Pakistan hanno mediamente 25-35 anni, ci sono anche tanti bambini di 3-4 anni e qualche neonato. Si tratta sempre, comunque, di una popolazione in media molto giovane”. Persone che “come altre milioni hanno lasciato l’Afghanistan, dopo la presa del potere dei talebani. Arrivano da Kabul e da altre città delle province afghane. E hanno trovato rifugio in Pakistan e in Iran”. Sono questi, infatti, i Paesi che principalmente li hanno accolti.



A scappare sono persone normali: “In alcuni casi insegnanti, in altri medici che si sono trovati da un giorno con l’altro senza più nulla. Le donne in particolare hanno pagato il prezzo più alto: penso ad esempio a un’infermiera che aveva lavorato per anni in ospedale. A un certo punto, i talebani le hanno detto chiaramente “tu non devi più mettere piede in un ospedale” e per lei la vita in Afghanistan è diventata senza senso”. Molti di loro sono stati segnalati dalle Caritas in Italia attraverso i “diversi canali di accoglienza dei cittadini afghani. Molti di quelli arrivati ad esempio attraverso la rotta balcanica o dalle evacuazioni organizzate dal governo italiano. Sono stati loro, una volta giunti in Italia, a segnalare parenti e amici in difficoltà. Le Caritas si sono impegnate poi a predisporre la relativa accoglienza attraverso i corridoi umanitari”.



Forti: “Corridoi umanitari per i rifugiati? Arrivano in Italia e poi…”

In alcuni casi, le persone arrivate in Italia dall’Afghanistan hanno “diverse patologie che saranno curate in Italia. Si cerca sempre di fare un giusto “match” tra quelli che sono i loro bisogni e poi le reali disponibilità che possiamo offrire in Italia. Perché poi il nostro obiettivo è la nuova accoglienza” racconta Oliviero Forti, responsabile per le politiche migratorie e la protezione internazionale di Caritas Italiana ad Avvenire. “Quando parliamo di corridoi umanitari non si tratta solo di portarli in Italia. Ma fare in modo che, quando arrivano, ci sia una comunità disposta ad accoglierli, cioè organizzare un sistema di integrazione che sia reale” sottolinea ancora.



Una volta arrivati in Italia questi “hanno una casa e sostegni economici per un anno per poter fare un percorso di integrazione che prevede corsi di italiano, orientamento legale e sanitario, aggiornamenti professionali. L’intero percorso dura 12 mesi ma spesso questo periodo si allunga con ulteriori mesi che vengono economicamente sostenuti dalle Caritas diocesane” spiega. “L’Italia, e anche l’Europa, si è aperta ai canali legali di ingresso per rifugiati grazie proprio a programmi come i corridoi umanitari. Integrare i rifugiati significa innanzitutto far conoscere le loro storie personali, che possono essere condivise con le comunità e che possono orientare l’opinione pubblica. E la politica italiana ed europea deve fare i conti con questa nuova consapevolezza. Conoscere queste persone e la loro storia è il valore aggiunto di questi programmi umanitari” rivela ancora Forti.