“Lo sviluppo sostenibile è un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”. Dal 1987, quando venne licenziato il rapporto Brundtland, frutto dei lavori della Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo, sono trascorsi 35 anni, un lungo periodo durante il quale si sono sedimentate alcune certezze, prima tra tutte l’intendere la sostenibilità quale motore dello sviluppo.



Se n’è discusso ieri nella giornata conclusiva del terzo Forum regionale per lo Sviluppo sostenibile, promosso da Fondazione Lombardia per l’Ambiente (Fla): si tratta della rassegna annuale che raccoglie la voce del territorio e della società lombarda sulla sostenibilità, che stavolta arriva sincrona con il termine della diciottesima legislatura, momento ideale anche per rendicontare gli sforzi compiuti sulla road map dell’Agenda 2030, il programma sottoscritto nel 2015 dai governi di 193 Paesi membri delle Nazioni Unite. Nell’agenda del forum, un punto fondamentale: la transizione ecologica può essere governata? E quali modelli devono ispirare chi governa?



“In estrema sintesi – ha detto in apertura Fabrizio Piccarolo, direttore generale di Fla – si tratta di delineare l’equilibrio tra uomo e ambiente, possibilmente fondando un punto culturale originale. Nel primo forum ci eravamo concentrati sulla sfera etica, nel secondo sul prendersi cura della casa comune, interpretando il pensiero di Papa Francesco; in questo terzo forum ci siamo proposti di arrivare ad una visione universale della sostenibilità, aperta, integrale e applicabile anche con paradigmi economici, una visione ancora più necessaria proprio mentre stiamo vivendo un cambiamento d’epoca”.



“Dalla trattativa tra uomo e natura scaturisce l’ambiente” è stata la suggestione portata dallo scrittore e poeta Davide Rondoni. “E una volta vince l’uno, una volta l’altro – ha detto –. Natura è tutto ciò che nasce, animali, piante, uomo, ma solo l’uomo, curioso, si pone il problema della natura. E si chiede il senso, perché la vita non è solo durare più tempo possibile. L’uomo nasce, fragile, da qualcosa che esisteva prima di lui. Ma è proprio questa consapevolezza che giustifica il rispetto per l’ambiente: se si pensasse che si viene dal nulla diretti verso un altro nulla, quale considerazione si potrebbe avere per la natura? Bisogna recuperare il senso della parola natura, e soprattutto non mentire sui punti di vista, che anche sulla sostenibilità sono diversi, ma che non vanno camuffati dietro a formule retoriche: la retorica passa sopra le teste, ma non attraversa davvero i cuori”.

“Il nostro punto di vista, come economisti – ha aggiunto Giovanna Iannantuoni, rettrice dell’Università di Milano-Bicocca –, è che la crescita economica ha due motori: la formazione, cioè il capotale umano, e l’innovazione, che arriva dalla buona ricerca applicata, pensata e realizzata insieme alle forze produttive, per il benessere del Paese. Non si possono elaborare modelli economici senza l’apporto delle industrie”. La rettrice ha anche ricordato come dallo scorso primo settembre sia operativo il Muse (Multilayered Urban Sustainability Action), il progetto che vede insieme le università milanesi (Bicocca, Politecnico, Bocconi e Statale) nel tentativo di sviluppare soluzioni smart per l’energia rinnovabile e la gestione dei rifiuti, studiare nuovi modelli di mobilità green, creare un polo di incubazione e accelerazione per startup, ottimizzare l’utilizzo dei big data per la salute e il benessere dei cittadini, mettere a punto nuove soluzioni di finanza sostenibile, in definitiva per trasformare l’area metropolitana di Milano in un ecosistema di innovazione per la rigenerazione urbana, un modello replicabile a livello nazionale ed europeo. “Ma ogni sforzo resta inconcluso se non si riesce ad abbattere la burocrazia: solo snellendo i percorsi decisionali si può sperare di mettere a terra i progetti del Pnrr. Noi abbiamo già laboratori congiunti e siamo intenzionati a lasciare traccia del nostro agire, ma occorre che tutti facciano la loro parte, secondo i principi della social justice”.

I principi da cui partire, invece, secondo il professore Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, sono tre: le crisi, la visione e il “cosa possiamo fare”. “Ci sono vari aspetti della crisi – ha detto –: quello demografico, quello legato alle povertà e alla disuguaglianze, quello dovuto ai cambiamenti climatici e agli inquinamenti. La visione quindi deve comprenderli tutti, ma deve anche occuparsi del senso del vivere, della felicità. E per essere felici bisogna essere generativi (sia i singoli che le amministrazioni pubbliche), cioè fare qualcosa che sia utile per gli altri, e bisogna mettersi in moto per fare qualcosa che piace. In questo senso – secondo Becchetti – bisogna oggi pensare all’energia, che sta generando inflazione, bisogna arrivare alle comunità energetiche, all’autoconsumo, agli accumoli, bisogna creare valore diminuendo la Co2. E bisogna arrivare al voto col portafoglio, ossia scegliere ed acquistare in modo informato e consapevole”.

“Anche se – ha puntualizzato poi Giovanni Toselli, presidente e Ad di PwC Italy (consulenti di direzione e strategia) – nelle aziende bisogna sempre occuparsi degli obiettivi di gestione, riuscire a crescere per creare benessere e dare sostenibilità al modello di business. Si è sempre in bilico. A questo punto, sostenibilità vuol dire trovare la soddisfazione per portare avanti quel modello”.

Dunque soddisfazione e felicità. “Ma la felicità dev’essere condivisa – ha sostenuto il professore Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà – e bisogna anche avere un’idea di felicità, di positività. Nel 1987, ad Assago – ha ricordato – don Giussani disse che il desiderio è la scintilla che muove l’uomo. Ecco: l’ambiente ha di fronte un uomo che è stupito dalla natura, vuole che la gente viva in giustizia, con un’economia a misura. Il tema che proponeva Giussani è l’educazione del cuore, quel cuore che nelle nuove generazioni è molto più attento all’ambiente di quanto fossimo noi. Certo, il desiderio non sta in piedi da solo: l’uomo individuale ed egoista pensa solo alla realizzazione del sé”. Vittadini, citando il teorema dell’impossibilità di Kenneth Arrow, ha ricordato che non è sempre possibile determinare una linea univoca nelle scelte collettive. “Serve dunque una maggiore coscienza individuale. Ma se nell’impresa vale solo la massimizzazione del profitto non si otterranno risultati. Occorrono vincoli, c’è bisogno di una democrazia che faccia pagare ad esempio chi inquina l’ambiente. E in questo senso, lo Stato resta fondamentale. Per quanto riguarda il lavoro, poi, non si può fare sostenibilità con la decrescita felice: bisogna piuttosto sfruttare la tecnologia e le competenze che permettano di limitare l’inquinamento”. “Dalla sinergia tra sussidiarietà, democrazia e mercato – ha concluso Vittadini – può scaturire il desiderio dell’uomo per apprezzare davvero il bene comune”.

Un bene comune e comunitario. “L’Unione sta dando concretezza alla parola sostenibilità – ha detto Irene Tinagli, presidente della Commissione per i problemi economici e moneta del Parlamento europeo – con l’obiettivo di arrivare entro il 2050 ad essere il primo continente neutrale, cioè ad emissioni nulle. Stiamo cercando regole ed incentivi per rendere omogenei tutti i capitoli indicati nell’Agenda, anche con nuovi metodi di calcolo dei profitti, che tengano in considerazione anche il costo ambientale. L’Ue ha messo in campo i fondi del Next generation, con il 37% dei fondi (750 miliardi di euro) destinato a progetti eco, ma teniamo sempre presente l’obbligo che qualsiasi investimento non può creare un danno all’ambiente. Stiamo seguendo quattro binari, per far sì che anche la finanza si muova in direzioni sostenibili: un linguaggio e una tassonomia comune sugli investimenti verdi e in genere sulla sostenibilità; la creazione di standard (si lavora ai green bond standard); un sistema di trasparenza; l’integrazione del concetto di sostenibilità nella determinazione dei rischi (con la corrispettiva coscienza che l’insostenibilità causa rischi certi)”.

Come si vede, le sostenibilità sono tante, ognuna con la sua valenza. “Ma, concludendo, che eredità lasciamo? – si è chiesto al termine dei lavori l’assessore regionale all’Ambiente, Raffaele Cattaneo –. Abbiamo indicato, quale sottotitolo a questo nostro terzo forum (che per me è anche l’ultimo, viste le prossime elezioni regionali) Lombardia motore della sostenibilità. Perché abbiamo confrontato le esperienze e messo in campo tre linee di azione: una visione di metodo di governo; un pacchetto di politiche; un contributo di pensiero. Il nostro metodo è inclusivo: la sostenibilità si fa dal basso, non può essere imposta. Le nostre politiche sono scaturite dagli incontri con gli attori, e anche dal lavoro di questi forum. Il nostro pensiero, alla fine, si basa sul passaggio dall’integralismo ideologico all’ecologia integrale, sulla sostenibilità sostenibile (con equilibrio), sulla transizione giusta ed inclusiva, sull’etica della custodia (dei beni, della natura), e sulla relazione positiva tra uomo e ambiente”. L’uomo, insomma, ancora al centro dei quattro pilastri della sostenibilità, ambientale, sociale, economico ed etico. E qualsiasi azione sociale non prescinde dal fatto che “la convergenza degli organi resta basata sulla convergenza di persone”, ha concluso Vittadini.

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