Il pianeta è come un giardino, secondo la bellissima immagine che papa Francesco ha utilizzato nella sua enciclica Laudato Si’: in che modo è possibile custodirlo e coltivarlo? E’ partito da questa domanda il convegno conclusivo del II Forum sullo sviluppo sostenibile promosso da Fondazione Lombardia per l’Ambiente, che si concluso ieri dopo tre giorni intensi di sessioni, riflessioni, esperienze.



Ad aprire i lavori è stato Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, che ha ricordato come la sostenibilità sia ormai un tema centrale nella programmazione delle politiche nazionali e internazionali. E ha citato due esempi: il documento finale del G-20 così come il testo dell’accordo alla base del nuovo governo in Germania richiamano frequentemente l’Agenda 2030 dell’Onu.



Ma anche l’Italia non sta con le mani in mano: “Abbiamo introdotto per la prima volta la valutazione dell’impatto delle misure previste dal Pnrr rispetto ai 17 obiettivi di Agenda 2030”, che destina il 37% medio del Piano proprio alla lotta contro il cambiamento climatico.

Non solo la politica, comunque, deve farsi carico della transizione sostenibile: secondo Giovannini, anche i singoli possono contribuire con le loro “scelte di consumo, per esempio premiando una mobilità e una logistica che riducano le emissioni inquinanti, e con le scelte nell’allocazione dei risparmi”.

Che l’economia sia importante nella transizione alla sostenibilità lo ha sottolineato, con toni e numeri allarmanti, l’economista indiano Partha Dasgupta, già docente all’Università di Cambridge e alla Stanford University, nella sua lectio introduttiva. Peccato che le teorie economiche neo-classiche abbiano sistematicamente trascurato la natura, essendosi concentrate esclusivamente sull’accumulazione del capitale prodotto e del capitale umano. Il risultato? Dal 1950 a oggi l’aspettativa di vita è salita da 46 a 73 anni, il Pil reale mondiale è cresciuto di 15 volte (oggi vale 130 trilioni di dollari a Parità di potere d’acquisto) e il tenore di vita è aumentato di 8 volte, mentre dal 1992 al 2014 il capitale umano ha realizzato un +15%.



Viviamo forse nel migliore dei mondi possibili? No, risponde Dasgupta, semplicemente perché nel frattempo il conseguimento di quei risultati è avvenuto attraverso troppe “esternalità”, cioè a discapito della natura: infatti il capitale naturale pro capite dal 1992 al 2014 è calato addirittura del 40%. Un “errore capitale”, perché “la biosfera offre servizi essenziali alla nostra vita, e in modo del tutto gratuito. La natura ci dà il clima, purifica l’aria e l’acqua, rigenera il terreno e l’ambiente, provvede all’impollinazione. Senza tutto questo l’uomo non esisterebbe”.

Secondo Dasgupta, “abbiamo chiesto troppo alla natura, che non è illimitata, abbiamo utilizzato la biosfera in modo troppo accelerato”, tanto che ogni anno si estinguono mille specie diverse, e così continuando non facciamo altro che preparare il peggio per le nuove generazioni.

L’economista indiano ha concluso la sua lectio con un invito alle nazioni: “Il primo cambiamento istituzionale è che la comunità internazionale si occupi di proteggere la biosfera, un bene comune globale che oggi è sotto giurisdizione nazionale”. In concreto: bisogna trovare forme di sostegno economico a favore di quei paesi, come il Brasile con la foresta amazzonica o l’Indonesia con le foreste pluviali, affinché si prendano cura per tutti noi di quei beni comuni globali.

Meno catastrofista nel linguaggio (“La transizione ecologica non è solo la risposta a una minaccia”), ma sulla stessa lunghezza d’onda (“Bisogna superare la distanza tra la nostra vita e la natura”), l’architetto Stefano Boeri, presidente della Triennale, che si è soffermato sul contributo che può dare l’architettura allo sviluppo sostenibile: “La presenza del verde nelle case e nelle città non può più essere un’aggiunta, bensì una loro componente essenziale: noi siamo parte di un universo di relazioni con le altre specie, secondo la nuova concezione, anticipata dalla Laudato Si’, del pianeta come un giardino”. Ecco perché per Boeri la biodiversità è “un grande capitale mondiale”, che “va interconnesso”, ed è “una grande opportunità di rilancio economico, anche per l’Italia”. E ha citato il caso virtuoso di Milano: ieri “città grigia, oggi verde grazie all’esplosione spontanea, alla presenza costante di natura sui tetti e sui balconi”.

“Occorre un cambiamento di mentalità” ha incalzato monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, basato su uno “sguardo contemplativo e non predatorio della realtà”, perché “la realtà è dono”. La difesa dell’ambiente, quindi, “è la costruzione di un bene comune che abbraccia i rapporti fra le persone e la casa di tutti”. In una parola, è quell’ecologia integrale di cui ha parlato nella Laudato Si’ papa Francesco, che poi nella Fratelli tutti ha esortato a un “urgente passaggio dall’io al noi, dalla chiusura alla condivisione”. L’importante è “mettersi in azione”, perché le “buone pratiche sono il segno di un cammino possibile già cominciato”. Monsignor Santoro arriva da una “realtà graffiante”, Taranto, segnata profondamente dal caso Ilva, un “debito ecologico” che l’Italia e l’Europa, affamate di acciaio, hanno contratto con la città. Ma ripartire si può: “Non più con un ciclo produttivo completo a carbone, ma utilizzando gas, ciclo elettrico e idrogeno, per una produzione più efficiente e pulita”. Insomma, cambio di mentalità e innovazione è il binomio che rende possibile la svolta.

A questo cambio di paradigma, che secondo monsignor Santoro non è affatto automatico, non possono ovviamente sottrarsi scienza, università e industria. “Al sistema universitario – ha ricordato Giovanna Iannantuoni, Rettore dell’Università Milano Bicocca – spetta il compito di formare i manager di domani e di proporre un nuovo modo di pensare la biodiversità, che ha sempre al suo interno un’alta componente tecnologica”, facendo appunto attenzione a non cadere in una trappola: “la transizione sostenibile non è un retrocedere, ma un avanzare, credendo sempre nell’uomo”.

Francesco Buzzella, presidente di Confindustria Lombardia, ha portato le istanze delle imprese, che con pragmatismo chiedono “una transizione ordinata, non confusa”, perché la “scommessa verde” o è globale oppure serve a poco: “L’Europa è responsabile appena dell’8% delle emissioni globali, la transizione avrà successo se noi faremo sì da apripista, ma anche gli altri dovranno seguirci e in fretta”.

Antonio Ballarin Denti, presidente del Comitato scientifico di Fondazione Lombardia per l’Ambiente, ha ricordato i pilastri della sostenibilità e le difficoltà di un sistema che è complesso e incerto per la numerosità e il groviglio delle variabili in gioco, tutte interconnesse in sistemi e sotto-sistemi né deterministici né lineari. Ma “non è un passaggio impossibile da governare”, a patto che tutti i possibili attori in gioco (scienziati e non solo, perché la sostenibilità richiede anche scelte etiche) interagiscano e interloquiscano fra loro e con i decision maker. “Bisogna decidere insieme – ha concluso il suo intervento Ballarin – per affrontare il terribile problema della sostenibilità”.

Tra i tanti stakeholder impegnati in questo processo non può certo far mancare il suo apporto anche il principio di sussidiarietà. “Il punto di cambiamento vero – ha osservato Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà – è mettere in soffitta Weber e puntare sull’economia relazionale: il capitale umano, con le soft skills e le character skills dell’io, è fattore di sviluppo economico: l’approccio difensivo dell’egoismo non ci porta lontano, serve guardare la realtà e il futuro con intelligenza”. Un esempio? “Là dove per 40 anni c’è stata la fabbrica della Innocenti, ora opera un’azienda innovativa come la Camozzi, che ha installato la stampante 3D più grande del mondo”.

E la politica? “Deve guidare la transizione sostenibile con equilibrio – ha concluso Raffaele Cattaneo, assessore all’Ambiente e Clima di Regione Lombardia -. Serve visione, un pensiero sano, perché la transizione non è una gara di 100 metri, è una maratona, ci vuole un ritmo che non sfianchi, ma passi adeguati, anche nelle scelte quotidiane: questo è il compito della politica”. L’obiettivo? “Costruire un modello lombardo della sostenibilità – risponde Cattaneo – non ideologico. Perché la sostenibilità deve far rima con competitività, sussidiarietà, solidarietà e libertà. Non va calata dall’alto e non deve inseguire modelli astratti che ammazzano fette importanti di società”.

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