River’s Dream è un libro fotografico dell’artista statunitense Curran Hatleberg, pubblicato nell’autunno 2022 dall’editore californiano TBW Books. Il lavoro era stato presentato per la prima volta nel 2019 alla Biennale del Whitney, la più importante manifestazione dedicata all’arte contemporanea americana. Il libro era poi stato selezionato tra i finalisti del Aperture-Paris Photo Award, considerato l’Oscar dell’editoria di fotografia. Non era mai successo, però, che venissero esposte tutte le 65 immagini che compongono il volume, come invece accade nell’omonima mostra al Meeting per l’amicizia tra i popoli di quest’anno. Quella di Rimini, tra l’altro, è la prima personale di Hatleberg in Europa.



L’artista, nato nel 1982 a Washington DC, ma che oggi vive e lavora a Baltimora (Maryland), sarà presente in questi giorni alla kermesse e parteciperà martedì 20 agosto all’incontro intitolato Un’immersione profonda. Creare insieme un’opera d’arte, nel quale si presenterà al popolo del Meeting e dialogherà con Paul Schiek, fondatore e direttore di TBW Books.



Hatleberg è considerato una delle voci più intense e personali del panorama della fotografia d’arte contemporanea e la prima edizione di River’s Dream, il suo secondo libro dopo Lost Coast, è andata sold out nelle prevendite che hanno preceduto la stampa del volume. A due anni di distanza anche la seconda edizione è diventata un pezzo per collezionisti.

Ma qual è il contenuto di questa opera? E perché è interessante parlarne oggi e parlarne al Meeting? Le ragioni sono diverse e di diversa natura.

Spiega Hatleberg: “Queste foto sono state realizzate tra il 2010 e il 2020 in Florida, Louisiana, Mississippi, Texas orientale e in altri luoghi del Sudest degli Stati Uniti. Sono Stati di cui non conoscevo nulla e mi incuriosiva capire che cosa succede nei luoghi della vita quotidiana. Sono voluto andare in piena estate, quando l’umidità in riva ai fiumi o nelle paludi è insopportabile”. Serpenti, alligatori, cani, api. E poi boschi, auto demolite, specchi d’acqua, partite a domino, angurie. L’universo che il fotografo ci propone è misterioso e affascinante. Le situazioni sono enigmatiche. E al lettore, o al visitatore, non sono offerte didascalie che sciolgano l’arcano. Come nel movimento di una sinfonia, le linee musicali si intrecciano e si richiamano generando un incanto in chi ascolta che, molto difficilmente, sarà traducibile in un discorso fatto di parole. La fotografia di Hatleberg usa uno stile documentario, privo di apparente “artisticità”, ma chi si aspetta un classico reportage sociale, ahimè, rimarrà deluso. L’artista, infatti ci porta in un territorio che è più prossimo alla letteratura che al giornalismo. Un altro fotografo americano, Aaron Schuman, una volta mi ha fatto notare che, in letteratura, il genere che riporta fatti realmente accaduti viene definito “non-fiction”. Il presupposto è che il genere principe resta l’invenzione. Per la fotografia, si domandava, dovremmo usare “non-reality” o “non-documentary”? Sembra paradossale. Ma ci troviamo di fronte proprio all’avamposto della ricerca artistica della fotografia contemporanea. L’uso dell’intelligenza artificiale, infatti, è considerato una minaccia per il fotogiornalismo, ma non certo per questo tipo di poetica che non rinuncia alla realtà della vita così com’è, ma non si accontenta di essa. Spiega Hatleberg: “Amo le fotografie che vivono dell’attrito tra gli estremi: felicità e tristezza, speranza e disperazione. Può capitare che ti trovi in situazioni dure, dal punto di vista personale o sociale, ma dentro l’inquadratura, a volte, appare qualcosa che apre a una possibilità”.



Ma il lavoro di Hatleberg è caratterizzato da un metodo preciso e che lo rende interessante anche per chi non riflette sul medium fotografico. Dice infatti: “Mi sono immerso completamente in questa realtà affidandomi a persone incontrate per caso. Ho mangiato con loro, ho dormito nelle loro case, ne ho condiviso la vita. Nell’America di oggi, così polarizzata, ho cercato di incontrare l’altra parte del mio Paese. Una volta un uomo mi ha detto: ‘Non ho mai conosciuto di persona un artista liberal. Ma tu sei ok’”.

Anche chi non conosce gli Stati Uniti in modo approfondito sa che un’affermazione del genere appare perlomeno controcorrente. Sono molti a rammaricarsi della divisione, sociale, politica e culturale, in atto e le prossime elezioni presidenziali, con buona probabilità, non sembrano promettere una distensione degli animi. Hatleberg, però, ha trovato il suo modo per provare ad andare in direzione opposta. Lo ha fatto usando la macchina fotografica. E portandosi a casa un bagaglio di incontri, alcuni diventate amicizie con persone che mai si sarebbe immaginato di poter entrare in confidenza. Ed è proprio qui che si spiega il sottotitolo dell’incontro al Meeting: “Creare insieme un’opera d’arte”. Per l’artista americano l’opera non è il prodotto di un genio isolato, ma è il frutto di un gesto di collaborazione, e i primi collaboratori sono le persone che lo hanno guidato nel suo viaggio e che, talvolta, sono diventate protagoniste delle sue immagini.

Di questo Hatleberg dialogherà con un altro suo “collaboratore”: il suo editore. La persona che ha creduto in lui e con lui ha lavorato perché la sua avventura diventasse il miglior libro possibile. Paul Schiek non è uno qualunque. È un corsaro dell’editoria, che ha pubblicato libri meravigliosi. Uno dei suoi ultimi, Tender di Carla Williams, è stato premiato proprio con l’Aperture-Paris Photo Award per l’opera prima. Oppure un altro volume affasciante è There Is No Light at the End of the Tunnel Because the Tunnel Is Made of Light di Ryan Spencer. O Knit Club di Carolyn Drake. Ma il popolo del Meeting ne conosce un altro, protagonista di una mostra nell’edizione del 2022: Family Car Trouble di Gus Powell. Sarà interessante capire da lui che cosa tiene insieme opere così diverse e così intense.

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