Avevo incontrato Ferdinando Scianna, uno dei fotografi italiani più autorevoli a livello internazionale, per un’esposizione di grande successo dedicata ad André Kertész, in collaborazione con il Museo Jeu de Paume di Parigi, per la quale aveva dato una video-testimonianza sull’apporto fondamentale per la fotografia dell’autore ungherese.
C’è a Milano un originale racconto fotografico di grande potenza espressiva, esposto fino al 18 gennaio al Centro Culturale di Milano, dell’allievo e amico di Henri Cartier-Bresson, Ferdinando Scianna, classe 1934, di Bagheria, Sicilia, terra amata ma lasciata per Milano e poi Parigi, dove divenne il primo italiano a far parte dell’Agenzia Magnum, e poi ancora Milano.
La mostra trova la sua genesi in un’altra relazione che ha perno nella vita del CMC, quella con Giovanni Chiaramonte, e nella decisione di Scianna di accogliere l’invito fattogli dall’amico fotografo pochi mesi prima della sua scomparsa, avvenuta nell’ottobre 2023: realizzare una mostra che fosse una meditazione sulla compassione e il limite che l’uomo vive strutturalmente come cuore e come condizione in cui è posto nel mondo.
L’autore ha composto così un’esposizione con quelle immagini che nella sua memoria hanno segnato la meditazione sulla condizione umana che lo ha accompagnato sempre nel suo lavoro di fotoreporter e fotografo.
La mostra è composta da 67 opere fotografiche, stampate con maestria, provenienti da Paesi come Etiopia, Sudan, Bangladesh, India, Vietnam, Stati Uniti, Italia, Francia, America Latina e Libano. Rappresentano volti e situazioni che hanno lasciato un’eco profonda nell’animo dell’autore, posto di fronte alle condizioni-limite in cui l’uomo vive e spera vivendo.
Coincidenza vuole che settimana scorsa sia uscito il n. 16 della rivista semestrale Città che dedica articoli e servizi fotografici sulla povertà a Milano; vi si trovano anche le ricerche di Scianna sulla città degli anni 60.
Nella mostra le immagini di grande densità emozionale corrono insieme alle parole scritte appositamente dall’autore. Con questa mostra Scianna torna infatti alla sua ricerca fotografica, ricordando il periodo in cui conobbe lo scrittore Leonardo Sciascia, col quale strinse una profonda amicizia e realizzò diverse collaborazioni, a partire dal libro Feste religiose in Sicilia del 1965, che gli valse il Premio Nadar l’anno successivo. Fu proprio Sciascia a incoraggiarlo a continuare a fotografare la sua Sicilia, persone, volti, feste religiose e popolari, nonché il primo a spingerlo a unire la sua fotografia con la scrittura, la parola come un luogo che accoglie il mistero del mondo attraverso la fotografia.
Un racconto, quello esposto a Milano, che cerca di dare voce al dolore e all’ingiustizia, ma anche al desiderio umano di felicità che persiste nonostante tutto, come spiega lo stesso autore partendo dal titolo della mostra: La geometria e la compassione.
Ci dice l’autore: “Niente si può esprimere senza geometria, senza forma, e la forma di ogni uomo e donna è la ricerca della felicità. Il dolore degli altri ci provoca compassione perché ci allontana tutti dal diritto a essere felici. Con questa mostra e il libro che l’accompagna ho voluto raccontare che anche nel più cupo dolore si scopre l’ansia di cercare la felicità”.
Se Scianna mostra il grido, la visione e la compassione con cui raccoglie e accoglie l’essere, rilancia anche una domanda: “che cos’è l’uomo e chi se ne cura?” e la fa esplodere con quella dolcezza e silenzio che impone la memoria, dell’altro, dell’essere, del mondo e di noi stessi. Come bene indica Giuseppe Frangi a conclusione del suo saggio ad apertura del libro-catalogo edito da Silvana per la mostra, “anche quando davanti all’obbiettivo la felicità sembri una partita chiusa, la fotografia [di Scianna], invece di arrendersi ad una funzione tristemente notarile, si sospinge in una silenziosa implorazione al destino”.
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