Arriva in smoking Don Giovanni, come James Bond in “Casino Royale”. Scarpe lucide e papillon si toglie la giacca, slaccia lo sparato della camicia ed è pronto per l’ennesima avventura. Donna Anna lo aspetta languida, in camicia da notte di seta, su un letto sommier a due piazze; lui cerca di possederla, finché le sue grida non richiamano il padre. Un attimo ed è riverso anche lui sull’alcova, con il petto ricoperto di sangue. “Don Giovanni siamo noi”, dice il regista canadese Robert Carsen. E lo dimostra con la scenografia scelta per il capolavoro mozartiano: la Scala.
Platea, ordine dei palchi, stucchi dorati e velluti rossi sono riprodotti fedelmente, fotografati sopra quinte, fondali. Riflessi su tele a specchio, vibranti, per riportare fino ai nostri giorni le schermaglie amorose del nobiluomo tratteggiato dal librettista veneziano Lorenzo Da Ponte.
Pochi gli abiti Settecento in questa edizione diretta dal maestro Daniel Barenboim, tanti gli smoking bianchi e neri, i tight grigi. Donna Elvira entra in cappotto tweed e borsalino, mentre la servetta fa scivolare sul linoleum del palcoscenico, due grossi trolley. Si avvicina al proscenio e canta: “Gli voglio cavar il cor!”. E il suo desiderio di vendetta monta, quando il servo Leporello attacca “Madamina il catalogo è questo – sciorinando il numero delle conquiste del padrone libertino, fino a concludere – purché porti la gonnella voi sapete quel che fa…”.
Insomma, un Don Giovanni carnale, terreno, che fuma (main sponsor è il colosso giapponese del tabacco JT International), mangia piatti (veri) preparati dal Caffé Scala. Moderno. Nella scena del matrimonio di Zerlina e Masetto, gli invitati su sedie di paglia scattano fotografie digitali. La scenografia è all’osso (al risparmio?), le scene sempre le stesse a ripetere l’idea (già vista) del “teatro nel teatro”, con le entrate in scena dalla platea e, del “Convitato di Pietra”, dal palco, invece che da un tetro cimitero.
Quasi che la vera protagonista sia la Scala, con la sua immagine riproposta all’infinito. Spot di un brand da trasmettere a oltre un milione di spettatori grazie ai collegamenti con quasi 500 sale nel mondo, con dirette e differite in America, Europa, Russia, Asia e Australia. Persino i pochi (costosi) costumi d’epoca sono realizzati con lo stesso velluto rosso del sipario del Piermarini.
Vera novità? L’happy end, più giocoso che drammatico, dell’opera, con l’eroe sexy “impunito” che, dopo essere sprofondato (in una botola) agli inferi, ritorna vivo e vegeto a prendere gli applausi.
Dunque, vincono il teatro e la musica con la regia coreografica di Philippe Giraudeau a movimentare il recitato di un cast stellare. Da Peter Mattei (Don Giovanni), Barbara Frittoli (Donna Elvira), Bryn Terfel (Leporello), Anna Netrebko (Donna Anna), Kwangchul Youn (il Commendatore) a Giuseppe Filianoti (Don Ottavio), Stefan Kokan (Masetto), Anna Prohaska (Zerlina). Ottimo inizio di stagione, con un occhio anche al portafoglio, per il primo teatro d’Italia. E il premier Mario Monti, dal Palco Reale, applaude.
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