Pina non c’é. Anzi è viva.
L’avessero chiesto a Fellini, che l’adorava, non avrebbe avuto dubbi.
La principessa cieca, salpata con lui a bordo di “E la nave va”, sarebbe sopravvissuta anche alla tempesta più brutta, l’ultima.
Abituata a guardare il mondo, nascosta sotto i tavolini del ristorante dei genitori a Solingen in Germania, scandagliava i fondali del corpo come nessun altro.
Un tic, uno sguardo, una carezza e lei andava diritto al cuore.
Ecco, in una parola, spiegati gli applausi scroscianti che dopo vent’anni hanno salutato al teatro Strehler il suo “Vollmond”.
Solo un pezzo di danza, “ein stuck” come diceva la Bausch. Sulle rive di un ruscello, in una notte di luna piena. Con i suoi formidabili attori-danzatori a mimare, attorno a un macigno di pietra dilavata dai temporali, la cecità dell’amore.
Un successo che ha confermato, ancora una volta, come la compagnia non sia indebolita dalla scomparsa – ormai è passato un anno e mezzo – della celebre coreografa tedesca.
Insomma, il Tanztheater di Wuppertal non sa di chiuso, né di museo.
Così, calato il sipario sulle tre settimane milanesi di convegni, proiezioni e spettacoli “For Pina”, proviamo a formulare la domanda, impronunciabile per ogni ciurma d’artisti che abbia perso il suo capitano.
“Chi sarà la nuova Pina?”.
Al Piccolo Teatro Studio Expo, Dominique Mercy e Peter Pabst provano a rispondere. Attacca l’indimenticabile interprete nel 1983 alla Scala di “Café Muller”, ora direttore artistico insieme a Robert Sturm, “È presto, siamo ancora in lutto – ammette scuotendo i capelli biondi, più radi -. E poi nessuno potrebbe sostituirla, artisti così nascono ogni duecento anni”.
E, rigirando il microfono tra le mani: “Intanto, abbiamo pensato di riprendere alcuni vecchi spettacoli, per trasmetterli ai nuovi danzatori. Il nostro è un repertorio ricchissimo, di oltre quaranta titoli. Dobbiamo tenerlo vivo”.
La parola passa a Peter Bapst, il designer che dopo la morte del compagno della Bausch, Rolf Borzik ha disegnato lo spazio scenico di successi mondiali da “Viktor”,“Agua”, “Nelken”, fino a “Bamboo Blues” in scena a Spoleto proprio l’estate del 2009 quando morì la Bausch.
“Faccio fatica a rispondere a questa domanda. Posso dire, però, che se abbiamo perso gli occhi di Pina, abbiamo appreso il suo modo di vedere. Ora tocca a noi guardare, ma senza fretta, proprio come ci ha insegnato lei”.
E conclude raccontando la storia di una giovane danzatrice che la Bausch aveva voluto in compagnia contro il parere di tutti. Dopo tre anni, quando anche lui ammise di essersi sbagliato, disse: “Avete visto? Bisogna saper aspettare…”.
Intanto, proprio “Vollmond” è stato scelto da Wim Wenders per il suo nuovo film in 3D “Pina”, presentato in questi giorni alla Berlinale.
Il segreto della vitalità del Tanztheater di Wupperthal? “Da quando, nel 1984 ho assistito per la
prima volta a un suo spettacolo, sono rimasto profondamente commosso e incantato. Mi è sembrato di capire i movimenti umani, i gesti e i sentimenti per la prima volta, da zero. Ed è questa magia che volevo trasporre sullo schermo. Nonostante la Bausch non ci sia più forse è anche più presente in questo lavoro di quanto si possa credere. Tutti sul set abbiamo avuto l’impressione di fare il film insieme lei"…