Una vittima e 11 dispersi. E un territorio stravolto, ferito. A Casamicciola (Ischia) la montagna è franata sulle case, provocando crolli e trascinando fango, macerie, detriti, automobili fino al mare dopo che un’ondata di maltempo ha investito l’isola nella notte. Ma c’è un precedente: prima del terremoto del 2017, la località era già stata colpita da un’alluvione nel 2009.
Non è colpa solo dell’abusivismo, come non lo è solo del cambiamento climatico, avverte Franco Guzzetti, docente nel dipartimento di architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito del Politecnico di Milano. Ecco cosa si può e si deve fare subito.
Professore, come spiega tutto questo?
Una risposta precisa ha bisogno di un’analisi tecnica di quello che è accaduto e la si potrà fare soltanto nei prossimi giorni. Detto questo, abbiamo assistito al concorso di diversi fattori. Va però tenuto presente che fenomeni di questo tipo nella storia sono sempre accaduti.
Ad esempio?
Molti laghi di montagna sono nati perché una grande frana ha sbarrato la valle creando il bacino che conosciamo; nessun danno se non ci sono costruzioni investite. Non bisogna costruire in zone soggette a fenomeni franosi. Poi bisogna dire che tutto viene amplificato da quello che l’uomo fa su questi territori: costruiamo edifici caricando il terreno là dove a volte non dovremmo.
Si riferisce all’abusivismo?
Non necessariamente. Ogni territorio ha caratteristiche idrogeologiche che vanno rispettate. Infine l’incuria. Fino alla prima metà del secolo scorso l’uomo era molto più attento al proprio territorio. Oggi invece c’è un abbandono pressoché completo delle zone non prettamente edificabili.
Sono caduti 126 mm di pioggia in 6 ore. Non è mai piovuto così tanto negli ultimi 20 anni.
Questo è un altro elemento fuori discussione: il cambiamento climatico ha portato eventi più rari – come i prolungati periodi di siccità – ma molto più intensi. Lo stesso vale per le precipitazioni. L’acqua non fa in tempo a penetrare nel sottosuolo e crea fiumi improvvisati di portata inedita.
Quindi l’anomalia va ridimensionata?
Sì, nel senso che le anomalie stanno definendo una nuova normalità. Prima lo capiamo e meglio è. Dobbiamo ricalibrare il nostro intervento sul territorio prevedendo fenomeni di intensità ignota.
Non vale solo per quanto accaduto a Ischia, immagino.
No, infatti. Tutte le costruzioni vanno un po’ rivalutate sulla base della nuova entità dei fenomeni. L’acqua si trova sempre la strada per scendere a valle.
Quale concetto di allarme va elaborato?
In alcuni Paesi europei non si parla più di generiche previsioni meteo, ma di allerta idrogeologica. È un’azione molto più mirata, che avviene spesso con il concorso del mondo assicurativo. Le assicurazioni sono le prime interessate a prevedere certi fenomeni, perché così facendo riducono l’entità dei risarcimenti.
Come funziona?
C’è un circolo virtuoso, accurato, calibrato, tra pubblico e privato di previsioni specifiche per il territorio. Le conoscenze scientifiche esistono: quando si corre un gran premio di Formula 1 ci sono società che non si limitano ad informare genericamente l’organizzazione che “domani pioverà”, ma prevedono che pioverà tra un’ora e quanto si bagnerà la pista. È un virtuosismo che non abbiamo attivato ancora in maniera completa.
Le cartografie dei piani di assetto idrogeologico prevedono valori di pericolosità. A Ischia sono stati rispettati?
Non mi pronuncio perché non ho gli elementi per farlo. Ma su ogni territorio insistono delle ricorrenze significative. Insomma, i fatti si ripetono e svelano tutte le criticità e debolezze che in parte non conosciamo, ma in parte sì. Noi continuiamo ad aspettare, fino a che si decide, spesso tardivamente, di fare un intervento drastico di salvaguardia. Oltretutto la collettività così spende molto di più di quello che costano gli interventi di messa in sicurezza, senza contare il “costo” in vite umane.
Ci sono iniziative e progetti in campo?
Sì, il progetto Iride, una costellazione satellitare europea anche finalizzata all’osservazione della terra da bassa quota. Sarà realizzata in Italia con il supporto dell’Esa e dell’Asi grazie alle risorse del Pnrr.
In che cosa consiste?
In un monitoraggio satellitare del territorio. Aumenterà di molto la capacità previsionale per sapere quello che accadrà dal punto di vista idrogeologico.
E nel frattempo?
Sui territori abbiamo tantissimi sensori che monitorano venti, temperature, portata delle acque. Ora sono come isolati, e forniscono una miriade di elementi parziali. Vanno messi a sistema al più presto, in modo da costruire uno strumento il più possibile “intelligente”.
Che parte può aver giocato l’abusivismo in questa tragedia di Ischia?
Conoscendo quel tipo di territorio e popolazione, direi una parte significativa. Quando a Ischia nel 2017 c’è stato il terremoto, i danni prodotti sono stati superiori a quelli che ci si aspettava. Vuol dire che la realtà edilizia esistente era molto più inadeguata di quello che si credeva sulla carta.
Ci spieghi meglio.
In Giappone capitano terremoti mostruosi ma non crollano le case. Noi abbiamo purtroppo il vizio di sanare e rattoppare l’esistente, spesso in modo improvvisato. Le sanatorie e i condoni sistemano la parte amministrativa legata alle costruzioni, ma se su quel territorio non si sarebbe dovuto costruire perché ad alto rischio idrogeologico il pericolo resta.
Che differenza c’è tra terremoto e alluvione?
Il terremoto, creando vibrazioni orizzontali e verticali, mette a rischio le capacità strutturali delle costruzioni: il legno e il calcestruzzo armato resistono alle trazioni, le murature no. Nel contesto idrogeologico invece vengono messi in crisi gli elementi di fondazione: è come togliere il terreno sotto le fondamenta. Paradossalmente, l’edificio potrebbe conservarsi intatto o quasi intatto e spostarsi o scivolare. Inoltre i muri delle abitazioni non sono costruiti per diventare “dighe temporanee” che fermano grosse masse d’acqua.
Vuol dire che a Ischia una casa non investita dal fango potrebbe ugualmente essere compromessa o gravemente lesionata?
Sì, proprio così. I geologi individueranno un’area verosimilmente compromessa dallo smottamento di ieri, e faranno verifiche strutturali edificio per edificio. Andrà anche accertato se ci sono stati segni premonitori che sono stati sottovalutati.
Perché dice questo?
In Valtellina nel 1987 erano stati osservati distacchi nel terreno, in quota, ma nessuno poteva immaginare che sarebbe venuta giù mezza montagna. Quando il fenomeno è grande, si fa fatica a individuarlo.
Cosa vuol dire, approssimativamente parlando, fare un intervento idrogeologico ad Ischia oggi?
Per parlare con cognizione di causa dovrei conoscere meglio il territorio. Va detto che abbiamo a che fare con rocce vulcaniche, non calcaree e nemmeno sedimentarie. La domanda vera sarebbe: adesso, se ricominciassimo da zero, le nostre norme permetterebbero di ricostruire quello che è stato travolto? Io sono convinto di no. Non mi stupirei se ci fossero parti antiche di Ischia che non sono state toccate.
Cosa vorrebbe dire?
Forse sono state edificate con un’altra conoscenza e un’altra attenzione per la morfologia del territorio.
E poi?
Andrebbe subito verificato ciò che potrebbe capitare nella stessa Ischia, in zone analoghe, se dovesse accadere di nuovo lo stesso fenomeno meteorologico. La protezione civile lo farà senz’altro.
Basterà?
No di certo. Quanto accaduto è una ferita grave. Bisognerà sfruttare questo dramma per intervenire su tutta l’isola in modo strutturale. Mettere cerotti non basterebbe.
(Federico Ferraù)
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