Prima che la pioggia smetta di battere sulle carcasse delle auto, prima che le case crollate a Casamicciola restituiscano i corpi delle vittime, prima che ogni esperto dica la sua sull’ennesima slavina di fango che cola giù dalla montagna, prima di tutto ciò noi già sappiamo cosa è accaduto. La nostra esistenza tra valli e sponde di mare dell’Italia costruita in questi decenni è un’occupazione abusiva. Lo è al di là ed oltre il rispetto delle leggi, dei piani e delle cautele. Lo è oltre il consiglio dei tecnici.
Siamo degli abusivi della realtà, a cui non piace accettare che ciò che è stato lecito e legittimo, e spesso ancora lo è nella lettera delle norme, cozza con i mutamenti che noi stessi abbiamo provocato. I giorni ininterrotti di pioggia dopo mesi di siccità creano un effetto dirompente sulle montagne non abituate ad assorbire le acque pluvie che cadono in un paio di giorni invece che nell’intera stagione. E la natura reagisce come sa. Liberandosi di ciò che non riesce a trattenere, scaraventando tonnellate di fango e detriti verso il mare, le valli e le pianure.
Le case e le strade costruite seguendo la memoria dei luoghi si trovano così improvvisamente sul percorso turbolento che la natura crea per sfogarsi. Inventando nuove strade e nuovi crepacci laddove nessuno poteva immaginare.
E poco importa se i progettisti, i piani regolatori o le norme tecniche hanno deciso che in quei siti tutto era in ordine. La forza del cambiamento che la natura ha in sé non segue leggi, non dà garanzie la legalità. Le Marche, il Cilento, il Pontino ed ora Ischia sono sotto il fango. I morti sono sepolti da metri di melma, inghiottiti nel sonno, nelle case. I vivi sono semplicemente fortunati. Testimoni di ciò che siamo.
Abusivi di questi luoghi che non comprendiamo più, che spesso non rispettiamo neppure. Sia che ampliamo un patio sottraendo superficie all’erba o che non spendiamo i denari per tenere in ordine boschi e vie dell’acqua, sia che abitiamo case che esistono solo nella loro concretezza di ferro e cemento ma non al catasto, le nostre vite nella natura che ci circonda hanno perso la saggia armonia dei secoli addietro.
Perché i tempi di oggi hanno altri ritmi, i fenomeni della natura sono diversi e la nostra arrogante pretesa di aver diritto a vivere dove e come vogliamo è mortificata da una potenza che non risponde a nessun decreto legge. Non conta tanto se gli effetti climatici siano causati dall’impatto antropico o dall’attività solare, conta solo prendere atto che siamo in fase diversa di manifestazione del clima, un’innegabile e rafforzata violenza dei venti e delle piogge che battono con forza prima ignota e per tempi sconosciuti alla memoria.
Vedrete che nelle prossime ore, pianti i morti della disgrazia, cercati i colpevoli tra presunti abusivi sanati e istituzioni assenti, passato l’annuncio di un piano per il dissesto idrogeologico, torneremo tutti a pensare ad altro. Le piogge non saranno più così battenti e la politica avrà altro da fare, ci saranno altri abusivi di cui preoccuparsi, altre risorse da trovare per altre emergenze.
In fondo la vita degli abusivi che siamo è questa. Dimenticarsi di non avere diritto a ciò che si ha e fingere che tutto sia normale. Solo quando le nuvole diventeranno di nuovo nere ed i fiumi gonfi, solo quando le montagne inizieranno di nuovo a scivolare a valle avremo la stessa paura di oggi, guardando alle spalle le colline con lecci e querce che crollano a valle.
In tutto l’Occidente è così. In Germania, Francia e Gran Bretagna, nel Nord come nel Mezzogiorno i luoghi che occupiamo non sono più adatti ad essere “usati” senza che si comprenda intimamente quanto è cambiato il contesto in cui le nostre esistenze si muovono. Eppure siamo la specie dominante non perché siamo quella più forte o più veloce, ma solo perché siamo stati tra i mammiferi quella che ha avuto la maggiore capacità di adattarsi. Un’abilità che è figlia della comprensione di sé e dei propri limiti, del sapere cosa possiamo o non possiamo fare, dell’agire in modo da garantire a noi stessi ed alla nostra genia un ambiente in cui prosperare in sicurezza.
Ma pare che la modernità ci abbia privato di questa dote. Aggrappati come siamo a ciò che desideriamo, siamo convinti di possedere un diritto a poter fare ciò che ci pare e come vogliamo. Esercitiamo un diritto ad essere ed ad esistere come riteniamo più utile per noi senza chiederci se sia coerente con ciò che ci circonda.
Per questo la natura appare matrigna e la pioggia assassina. Perché semplicemente ci ricorda che siamo suoi ospiti e tra le sue mani, ci impone di avere attenzione per le nostre scelte, di prenderci cura del nostro spazio di vita. Ci hanno provato parecchi Governi a varare piani straordinari sul dissesto idrogeologico, ultimo Renzi smontato da Conte. Ci riproverà forse anche la Meloni. Ma in fondo anche loro sono di fatto i rappresentanti di un popolo che non vuole vedere ruspe abbattere le case costruite dove non si deve, che preferisce avere un bonus per la palestra invece che spendere per i boschi ed i fiumi, un popolo che in fondo si trova a suo agio in un contesto di disinteresse per il futuro. Che vive per l’oggi e subito e non ha pena di ciò che sarà un domani.
Questa arroganza ci intrappola nella falsa sicurezza che tutto passa, dimenticando che così facendo passeremo anche noi. E lasceremo ferite più profonde di quelle che abbiamo trovato.
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