Storie Maledette è tornato su Rai Tre, e Aldo Grasso ne ha parlato sul Corriere della Sera: più che farne una recensione, tuttavia, il celebre giornalista ha tracciato un profilo della conduttrice. Franca Leosini, dice lui, è una maestra dell’arte retorica: tanto che i crimini che vengono sviscerati, raccontati e analizzati nelle storie servono per innescare e fare da contorno al “minuetto verbale” che viene a crearsi tra la presentatrice dello show e l’intervistato. L’esempio in questione, quello dell’ultima domenica sera, riguarda l’omicidio di Dina Dore: il marito, Francesco Rocca, è stato condannato all’ergastolo per il coinvolgimento nel crimine e sta scontando la pena nel carcere di Alghero. Proprio lui è stato intervistato a Storie Maledette, naturalmente dalla prigione; Aldo Grasso ricorda che il fatto è noto – è avvenuto nel marzo 2008 – e Rocca è accusato di essere il mandante dell’omicidio, anche se si è sempre professato innocente.
STORIE MALEDETTE, LA CRITICA
Tanti altri programmi hanno ovviamente dato ampio risalto alla notizia e allo svolgimento delle indagini e del processo, ma “Franca Leosini ha raccontato la storia a modo suo e in qualche misura l’ha resa nuova”. Questa, secondo il critico, è una testimonianza di come la televisione del crimine sia decisamente basata anche sulla reiterazione: la stessa vicenda può essere presa da angolature diverse, può essere affrontata in toni diversi, analizzando personaggi sempre differenti, e alla fine si presta a infinite declinazioni. Tornando invece al programma di Franca Leosini, Grasso ha la sensazione che questo format abbia assunto una dimensione sempre più teatrale: questo, “complice anche la forte personalizzazione impressa da Franca Leosini al programma e il culto che si è creato tra comunità scatenate di fan”.
Già, perché anche quelle sono da inserire nell’equazione. Insieme a loro, gli oggetti di scena: se Bruno Vespa ha reso celebre e iconico il concetto del plastico, qui è invece di grande attualità il faldone ad anelli, che Aldo Grasso identifica nel simil-copione da seguire, che si unisce al linguaggio “immaginifico” e al contrasto tra “l’immagine salottiera della conduttrice e le licenze verbali che spesso si prende”. La conduttrice inoltre, prosegue la critica, dà il meglio di sé quando il delitto ha uno sfondo passionale: alla fine, secondo la descrizione di Aldo Grasso, è “un po’ psicologa, un po’ giudice, un po’ voyeur che sbircia a nome degli spettatori nel privato del killer”. Un personaggio capace di fare in modo che il caso affondi nell’eloquio.