Per Francesca Fagnani il suo ultimo libro “Mala, Roma criminale” è il completamento di un lungo lavoro, che però gli è valso nuove minacce, tanto che è stato attivato un servizio di vigilanza. «La mia esposizione mi porta ad aver attenzione ma anche luce, godo di una sorta di scorta mediatica», racconta al Corriere della Sera, preferendo evidenziare il risvolto positivo. Del resto, la giornalista e conduttrice è consapevole che ci sono colleghi, come i cronisti dei giornali locali, che invece non godono neppure della protezione del loro direttore. Nel suo libro parte da un omicidio, quello di Fabrizio Piscitelli, noto come Diabolik, un delitto da cui emergono le tante vite del capo ultras della Lazio. «Nessuno immaginava facesse parte di un vero cartello del narcotraffico».
Eppure, il mondo civile non è apparso toccato da questa coltre di violenza che attraversa Roma: a tal proposito, Francesca Fagnani fa notare che altrove i fatti di sangue destano più preoccupazione a livello sociale perché coinvolgono persone innocenti, per di più quando c’è di mezzo il calcio, c’è una specie di «legittimazione sociale», infatti anche se aveva precedenti, «era noto per il tentativo velleitario di voler rilevare la Lazio».
FRANCESCA FAGNANI “CRONISTA” ANCHE A BELVE
La criminalità di Roma è ben nota a Francesca Fagnani, che ha mosso i primi passi nella sua carriera giornalistica proprio occupandosi di criminalità organizzata. Di giornalismo d’inchiesta si occupa dal 2006, dal suo esordio ad Annozero con Michele Santoro, e non l’ha lasciato neppure per fare la conduttrice. Ha letto carte, ha ricostruito la geografia criminale e ha ricostruito i fatti. «I puntini che ho unito sono di inchieste fatte da magistrati e forze dell’ordine», ma per lo Stato la battaglia contro la criminalità organizzata è complicata, figurarsi a Roma dove i meccanismi sono «raffinati».
Ci sono degli aspetti da migliorare, bisognerebbe accendere i riflettori anche sulla «rete di medici compiacenti» che, ad esempio, aiutano i criminali a essere trasferiti in comunità protette. Francesca Fagnani ha fatto nomi e cognomi nel suo libro, collegandoli a fatti per tracciare un disegno che ha svelato anche doppi giochi, quindi è ben consapevole che il suo lavoro non avrebbe fatto piacere a soggetti pericolosi. Infine, riguardo la sua imposizione, la giornalista ammette di portare il suo stile da cronista in Belve: «Mi consente di entrare nella vita delle persone senza avere mai un approccio giudicante».