Esce il prossimo 24 febbraio la biografia di Francesca Porcellato, atleta paralimpica italiana di handbike, soprannominata la Rossa Volante, il nome dello stesso libro. Con oltre 500 gare alle spalle e 11 Olimpiadi, Francesca Porcellato vanta 3 ori, 4 argenti, 7 bronzi e 7 titoli mondiali consecutivi. A segnare definitivamente la sua vita è stato un incidente quando aveva solo 18 mesi: «Giocavo con i miei tre fratelli e i cinque figli dei nostri vicini sull’aia nella nostra casa di campagna, a Poggiana, frazione di Riese Pio X – ha raccontato Francesca Porcellato, intervistata dai microfoni del Corriere della Sera – entrò un’autocisterna per la consegna del gasolio. L’autista si era perso. Chiese informazioni e ripartì in quarta. “L’avevo scambiata per una bambola”, si difese al processo. Mi scagliò a vari metri – aggiunge – faccio prima a dirle che cosa non mi ruppe: braccia e gamba sinistra. Tutto il resto fracassato, incluso il bacino. La lesione midollare, vertebre D4 e D5, mi ha reso paraplegica».



Francesca Porcellato ha trovato in seguito la forza di ripartire proprio da quelle braccia illese: «All’inizio non li amavo, i bicipiti da pugile. Non mi entravano nei vestiti, dovevo comprare taglie inadatte. Poi, a causa di un’ernia cervicale, ho perso per un periodo l’uso dell’arto destro. Da allora li amo, i miei braccioni. Mi consentono di saltare dalla carrozzina all’auto e di farmi da sola le pulizie domestiche». Braccia che ovviamente le hanno anche permesso di realizzare record olimpici: «Arrivo prima, ma non sono un’arrivista. Non ho mai voluto vincere. Raggiungo il meglio solo perché sono una perfezionista. È stato così per l’atletica leggera, dai 17 ai 41 anni, per lo sci di fondo, dai 36 ai 43, e ora per l’handbike, anche se la mia preferenza va di gran lunga alla maratona: mi ha forgiato il carattere». Ma per raggiungere gli straordinari traguardi raggiunti, Francesca ha dovuto faticare e non poco, dopo una lunghissima riabilitazione: «All’Istituto Maraini di Roma. Ci rimasi dai 2 ai 5 anni e mezzo. Accoglieva disabili, spastici, cerebrolesi. Mia madre veniva a trovarmi ogni due mesi. D’estate tornavo a casa, d’inverno mai. Passavo lì anche il Natale. Il momento più bello era quando papà andava in bici al posto pubblico, l’osteria Da Mansueto, e suor Vincenza, che per me è stata una seconda madre, me lo passava al telefono. La tristezza non ha mai vinto. Tutti mi volevano bene. Le infermiere chiedevano alla superiora di portarmi a dormire a casa loro, roba che oggi finirebbero in galera. Mi ricordo ancora dei giochi con i loro figli e di Raffaella, una moracciona che veniva a trovarmi anche in istituto».



FRANCESCA PORCELLATO: “LA MIA PASSIONE PER LO SPORT NACQUE ALL’ASILO”

Una volta completato il percorso, Francesca Porcellato ha cercato di iniziare a vivere una vita quanto più “normale”, e all’asilo nacque la passione per lo sport: «Vedevo i compagni uscire in fila indiana per i giochi all’aperto e io dovevo restare in classe. Il giorno in cui mi fu consegnata la prima carrozzella fu bruttissimo per i miei genitori. Invece io mi sentivo come un diciottenne al quale per il compleanno regalano la fuoriserie. Spingevo sulle ruote il più possibile, per farla correre in modo che l’aria mi frustasse la faccia». Poi la svolta, poco prima di diventare maggiorenne: «A 17 anni ero sulla mia Ferrari a rotelle. Passò un’auto vera, con un gruppo di disabili che praticavano basket e tennistavolo. Tornavano da un funerale. Mi videro sfrecciare con le borse della spesa in grembo. Quella stessa sera tornarono in paese per una pizza e chiesero di me. Alle 23 bussarono alla mia porta: “Vuoi diventare un’atleta come noi?”. Magari speravano solo di rimorchiarmi, chissà. Fatto sta che il giorno dopo ero già iscritta all’Associazione sportiva portatori di handicap e affiliati di Padova. Oggi milito nella Apre Olmedo di Reggio Emilia. Quando chiesi di tesserarmi, erano sbalorditi: “Ma tu lo sai chi sei?”. Risposi: potevo scegliere il Circolo Aniene di Roma o altri club prestigiosi, ma voi mi siete simpatici, vi pare poco?».



Il suo rapporto speciale con l’amato ex presidente Carlo Azeglio Ciampi: «Al ritorno dalle Paralimpiadi di Atene, fui ricevuta al Quirinale. La moglie, la signora Franca, mi abbracciò: “Finalmente ti incontro!”. Il marito si chinò su di me: “Guarda che ti bacio!”. Faccia pure, presidente. Alla fine della premiazione, Ciampi mi cercò: “Ehi, bimbetta, vieni. C’è il rinfresco”. Credevo gli fosse scappata, quell’affettuosità. Invece due anni dopo incontrai di nuovo la coppia e lui mi disse: “Ciao, bimbetta”. Era molto caro, molto dolce. Come Sergio Mattarella, del resto: ha gli occhi che parlano». Tanti alti, ma anche molti bassi, e Francesca Porcellato ricorda in particolare tre giorni dolorosi: «Da piccola, in istituto, sognai che mio padre era morto. Smisi di dormire. Fu costretto a scendere a Roma per calmarmi. Da quando mancò per davvero, nel 2015, è come se nella vita non avessi più il perno. Poi la perdita di Massimo, figlio di mia sorella Flora, ucciso a 5 anni da un tumore al cervello. Nel 2019 un mieloma mi ha tolto il fratello maggiore, Sergio. Eravamo come gemelli. Una volta stette male a Castelfranco e io ebbi la stessa indisposizione in Olanda». Chiusura dedicata ai figli: «Con Dino Farinazzo, ex tecnico della Nazionale femminile di atletica paralimpica, che da 30 anni è il mio compagno e il mio allenatore, abbiamo cercato di averlo, un figlio. Non è arrivato, ahimè».