L’Europa nel 2022 è diventata per la prima volta importatore netto di prodotti chimici, quindi l’import supera l’export. Nel 2023 lo stesso è accaduto con l’auto. I segnali non sono incoraggianti, infatti «la manifattura europea sta perdendo competitività». A lanciare l’allarme è Francesco Buzzella, presidente di Federchimica, consapevole che se cala la competitività della chimica, scende anche quella dell’industria tout court. In questo consento, il blocco del canale di Suez è «l’ultimo di una lunga serie di shock la cui origine non è economica ma rischia di avere pesanti ripercussioni». Ai microfoni del Sole 24 Ore evidenzia gli aumenti generalizzati dei costi del trasporto via mare, ma ci saranno ricadute anche sui costi energetici e delle materie prime per le imprese e il sistema a valle.
Buzzella sferra poi una stoccata all’Ue, perché «la nostra competitività dipende in larga misura dalle scelte politiche e normative dell’Unione europea, visto che ormai l’80% delle nostre normative arriva da Bruxelles, sotto forma di direttive e regolamenti che non necessariamente tengono conto degli sforzi dell’industria e della scarsa attrattività per gli investimenti, anche internazionali, che hanno certe decisioni». Il presidente di Federchimica segnala «una sempre maggiore dipendenza da altre aree del mondo». Le ambizioni dell’Europa devono andare di pari passo con la competitività industriale, altrimenti si importerà sempre di più da paesi con minori standard ambientali e si perderanno investimenti, produzioni e posti di lavoro. Tutto ciò senza neppure raggiungere gli obiettivi ambientali globali, visto che «diventeremo importatori di grandi quantità di CO2».
“ORA VEDIAMO EFFETTI DEL GREEN DEAL”
In vista delle prossime elezioni europee, Francesco Buzzella chiede maggiore attenzione per l’industria. «Gli Stati Uniti e la Cina hanno le idee molto chiare su quello che vogliono essere, ossia le grandi manifatture del mondo, l’Europa no». Se non si riporta al centro l’industria, il rischio è di far andare l’Europa verso un processo di deindustrializzazione che, come segnalato dal presidente di Federchimica, «è già in corso». C’è poi un calo strutturale della competitività manifatturiera in Europa, «dove da anni è prevalsa l’attenzione ai servizi e un approccio regolatorio sull’industria, con una forte concentrazione su discipline di bilancio e cambiamento climatico, per esempio, trascurando però l’importanza della manifattura a 360°».
Buzzella ricorda che chimica, acciaio, cemento, carta, ceramica e vetro sono pilastri della manifattura, eppure «rischiano di essere ridimensionati senza considerare che un’eccessiva dipendenza dall’estero amplifica la crisi e diventa anche dipendenza politica: non siamo più padroni del nostro futuro». Per quanto riguarda il report sulla competitività dell’industria europea, curato dall’ex premier Mario Draghi, per Buzzella «arriva un po’ tardi». Infatti, la sua sensazione è che «si stia rincorrendo a posteriori gli effetti che il green deal ha cominciato a produrre e che vedremo con sempre maggiore evidenza nel corso degli anni». Ma se comunque servisse a cambiare rotta, sarebbe favorevole. Del resto, la chimica è il cuore pulsante dell’industria manifatturiera, ma l’ultimo anno si è registrato un forte rallentamento in Italia, in un quadro di difficoltà che riguarda tutta l’Europa.
“COME L’UE PENALIZZA L’INDUSTRIA EUROPEA”
La chimica ha comunque fatto grandi progressi nella transizione ecologica. «A parità di produzione abbiamo ridotto i consumi energetici del 33% dal 2000 e quelli di materia prima di origine fossile del 40% rispetto al 1990. E ci sono numerosi ambiti di sviluppo», i numeri rivendicati dal presidente di Federchimica nell’intervista al Sole 24 Ore. Nel frattempo, la crisi energetica si è ridimensionata, ma non può essere considerata conclusa e la chimica «è stata tra i settori più colpiti dalle conseguenze dalla guerra ucraina, ma anche da scelte politiche miopi che non considerano il tema del costo dell’energia come strategico». La situazione attuale non permette, dunque, di fare piani a lungo termine.
Poi c’è la questione del costo dei permessi per le emissioni di CO2, «un meccanismo presente solo in Europa» che per Francesco Buzzella rappresenta «l’ennesimo fattore che mina la competitività della nostra industria. Per il nostro settore sono una penalizzazione che ne mette a rischio la sopravvivenza». A questo quadro complesso si aggiungono i tassi di interesse alti che, uniti ad una domanda debole e a tale sistema regolatorio, «rendono difficile programmare grandi investimenti in Europa. Il rischio è che i nuovi importanti investimenti della chimica, anche da parte delle grandi multinazionali, siano realizzati altrove e non in Europa».