Francesco De Gregori ospite di Techetechetè

Francesco De Gregori tra gli ospiti di Techetechetè, il programma televisivo italiano di videoframmenti, trasmesso su Rai 1 dal 2012 Tra i protagonisti c’è anche il cantautore romano che, intervisto da deagostinovinyl.com, ha raccontato cosa si nasconde dietro il suo bisogno di fare musica, scrivere canzoni ed esibirsi dal vivo. “Puoi chiamarlo narcisismo oppure esibizionismo. Ogni artista onesto pensa che quello che fa riguardi gli altri. Non lo fa mai solo per se stesso. L’artista immagina un pubblico. Non lo segue, non lo compiace, ma è convinto che quel che fa vada visto, ascoltato, letto. Ha bisogno di esprimersi sapendo che davanti a lui ci sono persone pronte ad ascoltarlo. Il fenomeno di massa dei cantautori nacque dal desiderio dei nostri coetanei di un certo tipo di emozione. Noi sapevamo che queste canzoni avevano bisogno di essere scritte. Questa consapevolezza ci ha tenuti in buona forma artistica”.



Ricordando proprio gli anni della nascita dei cantautori, De Gregori ha detto: “ci sentivamo un’avanguardia, un po’ come i beatnik, gli scapigliati, i futuristi, si parva licet”.

Francesco De Gregori: “la musica scatena reazioni viscerali”

Non solo, Francesco De Gregori ha parlato di come l’affetto del pubblico sia importante: “è gratificante, anche se il grosso successo comporta equivoci nella lettura. Quando sei un artista di nicchia con un pubblico carbonaro e improvvisamente fai un disco importante e non suoni più per 50, ma per 500 o 1000 persone, ti accorgi che quel pubblico carbonaro si sente tradito, ti tratta male, ti guarda con sospetto. Forse perché ha investito tanto nelle canzoni dal punto di vista emotivo. È quel che distingue la musica da altre espressioni artistiche. Scatena reazioni viscerali. La canzone è per sua natura un prodotto veloce, comunicabile in pochi minuti, non gravato da alcun tipo di necessità culturale”.



Infine parlando delle sue canzoni ha precisato: “il pubblico ascoltava le nostre canzoni con la leggerezza con cui non poteva prendere Manzoni o Dante. Allo stesso tempo, le nostre canzoni avevano dei contenuti. Non erano più, con rispetto parlando, le canzoni di Rita Pavone o di Edoardo Vianello. C’erano delle cose che si agitavano dentro e che avevano a che fare con la letteratura, con la storia. Con il vantaggio che le canzoni passavano alla radio, non dovevano essere studiate a scuola”. Nonostante tutto il successo De Gregori non si sente al di sopra degli altri, anzi: “mi sento uno che fa parte della vita degli altri, che sta bene con gli altri, che fa una vita normale, che non è chiuso in una torre d’avorio”.