Nelle bollenti giornate estive, mentre si seguivano attraverso la tv le gesta pedatorie in terra tedesca e quelle olimpioniche in terra francese, in un loop inarrestabile dallo spot della più grande compagnia energetica italiana si diffondevano come colonna sonora (con beneficio per alcuni o incubo tremendo per altri) le note di una delle più iconiche canzoni del repertorio degregoriano: La storia.



Nei giorni seguenti alla prima messa in onda si è poi alzata la canea dei moralizzatori d’accatto (vignettisti e opinion kings della rete) che hanno denunciato la strumentalizzazione di un inno, (a suo tempo) ritenuto una bandiera poetica del marxismo nostrano, per “indecenti” fini commerciali. Ma la polemica non è assolutamente inedita.



Già 12 anni fa, nel 2012, La storia, pubblicata nel 1985 dal cantautore romano, fu usata come commento sonoro allo spot della banca Monte dei Paschi di Siena, e pure quella volta fioccarono le proteste, anche se qualcuno giustificò la scelta con l’appartenenza dell’autore alla stessa area politica dei dirigenti di quella banca, in quegli anni al centro di una tempesta politica, finanziaria e anche giudiziaria, e quindi alla ricerca di un rilancio mediatico. L’uso a fini commerciali di canzoni famose, magari scritte da artisti che nel loro repertorio non hanno esitato a denunciare “il sistema”, è sempre stata considerata dalle schiere dei puristi ideologici una “appropriazione indebita”, qualcosa che ne sporcasse l’ispirazione artistica originale (ne hanno fatto le spese nel tempo, tra gli altri, anche Bob Dylan e i Beatles), dando seguito a diatribe sui social e sui media tradizionali.



Ora, non si vuole qui, addentrarci nei meandri del meccanismo del marketing che coinvolge le case discografiche e gli artisti stessi, che devono essere liberi di disporre del proprio repertorio senza essere condannati da un giudizio populista, anche perché pecunia non olet e l’arte, da che mondo è mondo, è fatta da gente che con essa ci deve pur campare e tutte le occasioni lecite sono buone per sfruttarle, anche se, per quanto riguarda La storia, non si può ignorare tutta una narrazione particolare che si è sviluppata negli anni attorno a questa canzone, seguendo con attenzione e simpatia la parabola personale di De Gregori.

Francesco De Gregori vive l’epoca sessantottina già adulto (classe 1951), insieme all’amico Venditti inizia la carriera discografica e si trova già dopo poco tempo, nel 1975, ad essere eletto simbolo della sinistra giovanile del PCI con l’album Rimmel; ma proprio sull’onda di questo successo, dovrà scontrarsi con la deriva violenta dei gruppi della sinistra estrema  extraparlamentari e autoriduttori che lo processeranno in pubblico (quasi un sequestro di persona) alla fine di un suo concerto a Milano con l’accusa di farsi pagare il biglietto d’ingresso. Questo gesto estremo di prepotenza, per lui, da tutti conosciuto come uomo mite, sarà occasione di crisi, dalla quale uscirà solo un paio d’anni dopo accettando l’invito di Lucio Dalla a coinvolgersi nello storico tour Banana Republic. Uomo di cultura, non solo musicale, De Gregori non ha mai indugiato in atteggiamenti e slogan “antisistema”, ma ha vissuto la sua appartenenza politico/culturale sostenendo una sinistra moderata e riflessiva.

Questo è inoppugnabilmente il suo profilo distintivo, testimoniato da interviste e conversazioni pubbliche: da quella sul Corriere della Sera (intervista fondamentale e sorprendente quella realizzata con Aldo Cazzullo il 31 Luglio 2013: cercatela, è in rete!); dal botta e risposta del libro A passo d’uomo con Antonio Gnoli nel 2016, alla lunga intervista a Paolo Vites che accompagnava le uscite in cd nella collana Contemporanea nel 2009, fin nelle pagine dell’ Osservatore Romano dialogando con il direttore Andrea Monda. E le sue canzoni non hanno fatto altro che riconoscere con una originale modalità poetica il suo pensiero sulla realtà, spiazzando spesso l’ascoltatore per condurlo verso un di più di attenzione e riflessione: i suoi sono interi album pieni di storie e intuizioni, un patrimonio autoriale pari a quello di Fabrizio De André e Francesco Guccini.

La storia, dunque, ha un percorso molto particolare: ritenuta, come si accennava prima, una bandiera musicale della critica marxista alle classi sociali, negli anni ha subìto l’opera “revisionista” del suo stesso autore. Claudio Chieffo, suo illustre collega “musicale”, la citò nella canzone La nave (Chieffo & piano, 1987), una specie di “ramanzina” canora ma piena di cattolica misericordia. De Gregori, quasi come accogliendo la critica, in anni più recenti è stato protagonista di una ulteriore riflessione sul testo: “Confesso che la trovo oggi una canzone leggermente un po’ enfatica. Ci sono versi che hanno l’olezzo del ‘gentismo’, che parlano della gente a sproposito. La mitologia della gente, oggi come oggi, viene accostata ad una lettura populista della vita, dell’Italia e della realtà che non mi appartiene. (…) Quelli della sinistra hanno pensato che alludessi alla loro parte, per questo a mò di contrappeso ho aggiunto ‘nessuno si senta escluso’” (da A passo d’uomo, Laterza, 2016); “Chiedermi oggi se la riscriverei non ha molto senso, forse la risposta sarebbe no” (da Contemporanea, 2009); “La storia è nata pensando che non siamo noi a fare la storia: è lei che fa noi, che ci toglie la sedia da sotto il culo, brucia le nostre istanze, ci dà ogni giorno torto o ragione” (da un’intervista di Vincenzo Mollica); “E allora, cos’è questo noi? Credo sia la chiamata di responsabilità” (ancora da A passo d’uomo); “Non puoi nasconderti da quello che ti sta succedendo intorno, non puoi dire ‘io non mi interesso’” (ancora da Contemporanea).

Già nel 1988, intervistato per il settimanale Il Sabato, affermava: “Avevo letto delle condizioni in cui vivevano degli anziani a Roma, totalmente abbandonati all’ultimo piano di casermoni in rovina. Erano assistiti, ma direi ‘salvati’ da ragazzi di CL (…). Ero e sono vicino al PCI, (…) però forse un impegno politico, sociale e religioso anche esageratamente idealista è cento volte preferibile alla stupida abulìa della società del benessere. Almeno manifesta la coscienza che nulla garantisce di fronte all’insufficienza organica dello Stato, se non una risposta umana ad una necessità umana”.

Ci tornano in mente le parole di Papa Francesco nella sua enciclica sociale Fratelli tutti: “La solidarietà intesa nel suo senso più profondo è un modo di fare la storia ed è questo che fanno i movimenti popolari”.

Quindi finiamola con queste polemiche assurde (e pure il fossilizzarsi nel cercarne tracce di propaganda marxista) e godiamoci (pure attraverso uno spot televisivo) l’ascolto di questa canzone che affonda lucidamente nella realtà umana e che ne intuisce la irriducibilità oltre la materia. Parole e musica sostenute da una grande capacità creativa, mai banalmente popolare come testimonia l’inesauribile song book di Francesco De Gregori.

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