Se il segreto della vita è stabilire relazioni, come ha suggerito nel suo intervento al Meeting la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, ovvero, come suggerisce il Meeting stesso, lasciarsi ferire da uno sguardo e andargli dietro, non è troppo difficile, né astruso immaginare che una mostra del suddetto Meeting guardi l’altra e dall’altra si lasci in qualche modo interpellare. E così allo stesso modo la seconda dalla prima in un gioco di reciprocità non puramente intellettualistico, ma in qualche modo istruttivo e mobilitante per chi da spettatore intende trasformarsi in protagonista delle esposizioni cui assiste.
Un esempio eclatante viene dalla mostra “Francesco e il Sultano” che, anche per ragioni di prossimità spaziale, vediamo dialogare con “Il potere dei senza potere”, che ricostruisce in forma interlocutoria la vicenda umana e culturale di Vàclav Havel autore dell’indimenticato testo omonimo, leader di Charta 77 e presidente della Repubblica Ceca dal 1993 al 2003. Dunque, allora: Havel guarda e legge Francesco e il Sultano. E cosa ci trova? La stessa mossa, in un certo senso che lo animò quando scrisse quel famoso testo, tutto ruotante attorno al tema della verità. Educare alla verità è fondamentale per chi ha una qualche responsabilità verso i giovani o chiunque sia in fase di crescita. Il potere dei senza potere, Charta 77 e insomma la storia umana e culturale di Havel non giungono a fornire una definizione di verità.
Scrive Havel, a proposito del famoso ortolano che non ha appeso alla vetrina del negozio il cartello accattivante verso il regime comunista, che la ribellione del suddetto è un tentativo di vita nella verità. E che cos’è la verità? Qui Havel non la definisce appunto, ma della verità subisce la forza reale, esistenziale, conoscitiva e morale (sono quasi parole sue). Se permettiamo ad Havel di guardare Francesco, troviamo un’impensabile sintonia su questo punto. Francesco (ci riferiamo alla mostra, ovviamente) rende comprensibile il tema della vita nella verità. Francesco si muoveva infatti nello stesso modo: era posseduto dalla verità, si muoveva nella verità, ha reso comprensibile nella storia dell’uomo l’essenza della verità senza darne una definizione.
Il Sultano al-Malik fu colpito dal Santo e, come riportano alcune testimonianze coeve, tra i due si stabilì qualcosa che non ha a che fare con la pratica del convincimento, né con quella della predica di carattere edificante. Il Sultano non si convertì alla fede cristiana, almeno fino a prova contraria. Questo dunque significa che Francesco fallì la sua missione? No, perché l’incontro con l’esponente islamico fu chiesto non per convertirlo, ma per rendere testimonianza alla verità. Nel periodo delle Crociate (c’è tutta una storiografia che comunque le riabilita come “pellegrinaggi armati”), Francesco seguendo il flusso di una Crociata, la Quinta, affronta il Sultano con un’arma nuova e antica allo stesso tempo, perché portata da Cristo: la verità come vita.
Rovesciamo ora i piani e immaginiamo come Francesco e il Sultano possano essere letti da Vàclav Havel (la mostra su Havel, ovviamente). Come Havel viveva in un tempo di contrapposizioni epocali (Guerra Fredda), così Francesco e il Sultano vivevano in un mondo diviso tra Cristianesimo e Islam. In entrambi gli emisferi le forme assunte dalla gestione del potere erano raffinate. Non dimentichiamo che Dante Alighieri avrebbe criticato, in epoca di poco posteriore a quella francescana, l’imborghesimento della Chiesa a causa dell’eccessiva vicinanza al potere. Nello stesso periodo, o giù di lì, il sufismo nel mondo musulmano (e Francesco fu preso inizialmente per un maestro sufi) era violentemente represso per la sua ricerca dell’esperienza della verità. Havel indica a Francesco, e a tutti noi, che il “potere” ha dinamiche sempre simili nella storia. Non è solo repressione manifesta, è più spesso svuotamento dell’umano, come una enorme tenaglia che trancia il filo che unisce l’uomo al suo destino.
Per carità, lungi da noi volere riaprire l’annosa questione delle violenze crociate da mettere sulle stesso piano delle coercizioni totalitarie. Occorre però riconoscere che il cedimento al potere ha attraversato la storia e sedotto varie culture. Se una differenza radicale c’è stata, comunque, tra l’epoca di Francesco e quella di Havel, essa consiste nella capacità della prima di autoriformarsi, mentre nella seconda la libertà è stata fatta prigioniera dal partito. E si torna così al tema della verità che ha reso liberi gli uomini prima ancora che crollassero i regimi che li incarceravano.
Havel e Francesco, Francesco e Havel. Ancora oggi l’antidoto all’espropriazione dell’io è la esperienza della verità. Antidoto al potere e all’intontimento generale. Una bella sfida, questa, per chi insegnando deve ogni giorno decidere da che parte sta il suo cuore, se con l’ortolano di Havel o i superiori di Francesco che gli avranno bisbigliato: lascia perdere!