“Nel ginnasio liceo Piazzi di Sondrio, Francesco, che i genitori si ostinavano a chiamare Franceschino, divenne rapidamente popolare pur essendo il primo della classe. Era molto distratto e qualche volta prendeva anche lui pessimi voti. Era vestito con abiti da signorino, ma aveva sempre le mani e le camicie sporche di macchie di inchiostro e i capelli spettinati. Lui, del resto, faceva copiare i compiti e anche per questo era diventato molto autorevole. Così i compagni lo ammiravano e lo consideravano il capo”.
In queste poche righe che Francesco Forte ha scritto per la sua biografia c’è tutta la sua personalità. Forte, scomparso il primo gennaio di quest’anno, è stato infatti in molte occasioni il primo della classe, ma non ha mai rinunciato non solo ad avere i capelli spettinati e le mani sporche di inchiostro, ma soprattutto ad approfondire temi e tesi con una grande autorevolezza unita a un altrettanto forte capacità di divulgazione.
Sono tanti i meriti per cui l’esempio di Forte può e deve essere ricordato. La sua volontà di approfondimento, innanzitutto, con l’impegno nei numerosi viaggi di studio negli Stati Uniti dove ha avuto come compagni di banco importanti premi Nobel come Ronald Coase e James Buchanan, due personalità nel campo dei collegamenti tra economia e politica con tutti gli intrecci prevedibili e imprevedibili che questi collegamenti comportano.
La sua capacità di divulgazione è stata esemplare non solo nel suo rapporto con gli studenti nella lunga carriera accademica, ma anche a livello politico nel sensibilizzare con la sua testimonianza la necessità di un rigore che amplifichi la libertà di ciascuno. Ha sempre osteggiato una politica rivolta più alla ricerca del consenso che non alla sana gestione delle competenze pubbliche; per esempio, con la difesa di un sano bicameralismo in grado di temperare il dominio a proprio vantaggio della maggioranza.
Senza dimenticare le sue battaglie contro le mode del pensiero economico. Ugualmente importanti nella sua esperienza le lezioni di Luigi Einaudi, che peraltro lo indicò per succedergli nella cattedra di Scienza delle finanze a Torino, così come le critiche documentate non tanto alle teorie di John M. Keynes, quanto all’applicazione pratica di teorie della spesa facile da parte dei poteri pubblici.
Forte si è sentito quasi in dovere di aggiornare e applicare le tesi elaborate da Einaudi nelle sue Lezioni di politica sociale scritte durante i suoi anni di esilio di Svizzera. Non a caso uno dei suoi documenti degli ultimi anni, 2017, ha per titolo Per un programma liberale sociale in cui si sottolinea l’esigenza di “Meno debito, meno e migliori tasse, meno e migliori spese”. “Una politica di bilancio sana – scrive Forte – è fondamentale per lo sviluppo economico, la piena occupazione, la tutela del risparmio, la capacità di credito delle banche e per mantenere l’autonomia e dignità nazionale nell’euro”.
Le analisi e l’azione di Forte hanno accompagnato gli ultimi settant’anni della vita politica italiana. Una realtà che, come confessa nella sua autobiografia (A onor del vero. Un’autobiografia politica e civile, Rubbettino 2017), ha vissuto “come un gabbiano in volo”, tra il sogno e la realtà, tra la visione del futuro e la concretezza del presente. Con il coraggio delle idee e con l’umiltà di dover tener conto delle possibilità operative di una politica fatta di condizionamenti e di compromessi.
Tra i tanti meriti di Francesco Forte va comunque riconosciuto quello di essere costantemente rimasto nel solco di metodo e di pensiero tracciato da Luigi Einaudi. Possiamo chiamarlo liberalismo sociale o socialismo liberale; quello che conta non sono le etichette o le formule; quello che conta è la passione civile unita a una grande competenza tecnica. E di questo Forte è stato un vero testimone.
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