“È stato bello il canto che avete cantato dell’uomo che viene a casa dalle ferriere. Io lo sapevo quando avevo cinque o sei anni, perché lo sentivo cantare: lo sentivo cantare lungo tutta la strada dalle gente che, dalla vicina grossa osteria, tornava a casa la sera. Non sappiamo niente di canti popolari; non c’è più la possibilità, mentre si va a dormire la sera, di sentire per le strade del proprio paese – peggio ancora della propria cittadina – gente andarsene a casa tardi dall’osteria cantando canti popolari bellissimi. Non c’è più questa possibilità, perché non c’è più popolo (…) Non credo che ci siano sintomi più gravi della distruzione di un popolo che l’assenza di canti popolari abituali”.



Così il sacerdote Luigi Giussani rifletteva davanti ad un gruppo di giovani del movimento ecclesiale da lui ispirato, i quali avevano appena concluso di cantare “Ferriera” un canto di lavoro del 1929 (da “Si può (veramente) vivere così?”  Biblioteca Universale Rizzoli, 1996 –  pag. 492).

Quasi a raccogliere il testimone dal sacerdote brianzolo ecco l’anarchico modenese Francesco Guccini ritornare sul mercato discografico con il secondo album del progetto reso pubblico esattamente un anno fa, un po’ a sorpresa dato le insistenti dichiarazioni dell’artista per l’abbandono delle performance canore dovuto all’età e a difficoltà fisiche, e volendo vivere serenamente in famiglia, ormai ultraottantenne, nel ‘buen retiro’ della collina di casa, a Pavana.



Nel 2022, con grande sorpresa , colse l’occasione di una ‘reunion’ tra amici musicisti per una operazione discografica di recupero di canzoni, colte dalla tradizione popolare, con attenzione particolare al repertorio politico del primo novecento e a quello regionale padano, insieme ad omaggi a Strehler , Fiorenzo Carpi e Jannacci. Risultato: grande ed inaspettato successo.<

“Il Maestrone” rimase così soddisfatto del risultato che già all’uscita di “Canzoni da intorto” (così si intitolava il lavoro) subito circolarono le voci per la pubblicazione di una seconda puntata. Ed ecco, puntuale “Canzoni da osteria” che, facile previsione, bisserà il successo del precedente episodio, per diverse, e per chi scrive, valide ragioni:

“ (…) Canzoni amate o subite per nottate intere con amiche e amici, canzoni che svelano il fascino della loro essenza, una magia che può durare un momento o una vita intera (…)” perché ogni canzone “è strettamente legata alle mie vicende esistenziali, susciti in voi qualche frammento di ricordo, personale o qualche fantasma di memoria collettiva legato ad una persona o a un momento”

Prima ragione: la lettura del denso libretto allegato al cd, dove Guccini quasi si confessa raccontando la sua gioventù tra amici italiani e no, ripercorrendo con memoria ancora viva e sanamente nostalgica gli incontri fatti di musica, canti, racconti della propria terra, seduti attorno ad un tavolo d’osteria.

E il racconto è fatto di queste immagini ancora vivide come in un album di fotografie ingiallite guardate con occhi umidi di commozione e di rispettoso ringraziamento, ed è funzionale alla narrazione del perché delle scelte musicali che compongono i 45 minuti di atmosfere senza tempo.

Ed ecco la seconda ragione: a partire da una furba “Bella Ciao”, tanto per essere chiari, la galleria musicale scelta da Guccini non si ferma a brani della tradizione italiana, anche se non mancano ricercati episodi in dialetto ‘arcaico’ bolognese, canti di lavoro e sorprendenti bozzetti a sfondo religioso popolare, ma intraprende un giro del mondo di note che volteggiano tra il Nord America, Israele, Argentina, Spagna. Il libretto introduttivo è assolutamente esauriente, colmo di appunti storici incrociando la storia giovanile del protagonista che non si ritrae nel ricordo più intimo di quelle amicizie, che lo hanno formato e cresciuto.

Ed ecco la musica: terza ragione valida per un successo che sperabilmente si ripeterà.

Prima di tutto la voce di Guccini ci sembra più sicura e convincente, la fatica fisica sembra un ricordo lontano, il Maestrone canta alla grande quasi colto da seconda giovinezza, e quando la forza del ritornello lo richiede ecco un puntuale coro a sostenerlo e dare lucentezza alla trama musicale.

E il titolare del disco si abbandona felice e divertito sopra agli arrangiamenti ariosi e travolgenti architettati da Fabio Ilaqua (così come nella puntata precedente): il giovane ed emergente arrangiatore e produttore comanda con mano sicura tutti gli strumenti in campo, esaltando l’atmosfera popolare e popolana e si permette di concedere la scena, nei brani sudamericani, anche ad uno storico collaboratore di Guccini, Flaco Biondini.

Insomma, l’ascolto generale non ha cali di attenzione e non perde un colpo: una meraviglia che in qualche modo lo avvicina alla ricerca delle radici della musica popolare che da anni, oltre oceano stanno sviluppando musicisti come David Bromberg e Ry Cooder, non dimenticando, almeno per affinità culturali, il pioniere Pete Seeger.

Non resta, quindi che godere di questo nuovo lavoro dello storico cantautore, lasciando alle sue parole la conclusione di questo viaggio musicale tra memoria e popolo:

“Ognuno di noi, penso, ha da portarsi dietro un piccolo bagaglio di canzoni. (…) Ho scelto solo una piccolissima parte delle canzoni che hanno accompagnato la mia vita (…) ognuna di esse evoca certi anni, certe vicende, amici che ancora ogni tanto sento e quelli che, purtroppo, sono scomparsi; racconta di donne che ho amato e che mi hanno amato, di notti, di vino, di chitarre, ormai perse lungo gli infiniti angoli del tempo”.

Eppure …no! Scusate! Senza nulla togliere al Maestrone, anzi ringraziandolo ancor di più per la commozione e la sincerità di questi suoi ultimi album, vorrei concludere (così come si è iniziata questa piccola recensione) proprio con le parole di Luigi Giussani:

“Ma da che cosa sorgono i canti? Dal bisogno umano: bisogno d’amore, bisogno di giustizia, bisogno di bellezza, bisogno di primavera. Riesumarli o inventarli, prima riesumarli che inventarli: se i canti si riesumano, si ha tutto il sapore dell’antico, del tradizionale che, per sua natura, essendo più sperimentato, è più profondo di ciò che è inventato ora”.

Grazie Giussani, grazie Guccini. 

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