Francesco Guccini compirà 80 anni tra una settimana esatta. È passato parecchio tempo dall’infanzia di Modena, il passaggio a Bologna in quella via Paolo Fabbri 43 che sarebbe poi diventato il titolo di un album da studio. Il Corriere della Sera ha sfruttato l’imminente compleanno per una lunga intervista, nella quale il cantautore emiliano ha avuto l’occasione per raccontarsi a tutto tondo: dal rapporto con i genitori alla politica, dall’adolescenza ai primi passi nel mondo della musica, arrivando alla situazione attuale e al Coronavirus. Impossibile chiaramente riportare tutta la chiacchierata, ma alcune cose sono veramente interessanti: del resto Guccini è un uomo che, come ricordato, ha vissuto direttamente la Seconda Guerra Mondiale e nella sua lunghissima carriera ha scritto di tutto, venendo identificato come una delle più sventolanti bandiere della sinistra ma non disdegnando altre esperienze, con testi che hanno sempre trasceso la dimensione “di lotta” più estrema preferendo, in certi casi, il vissuto quotidiano che inevitabilmente si legava ai grandi avvenimenti della storia.



FRANCESCO GUCCINI: I FICHI IL PRIMO RICORDO

Guccini racconta che il primo ricordo è un paio di fichi secchi: glieli mandava papà Ferruccio, che era un soldato appunto nella Seconda Guerra Mondiale. Su questa immagine, il cantautore ha anche creato una canzone (I fichi) che compare, registrata live, nel suo album D’amore, di morte e di altre sciocchezze; dello stesso lavoro del 1996 è anche Il matto, una canzone contro la guerra che però ha un tono canzonatorio come nello stile di Francesco. La politica o presunta tale, naturalmente, occupa una buona parte della sua produzione: del fatto che lui non si sia mai dichiarato comunista si è parlato molto nel corso degli anni, è cosa risaputa. Di sinistra, chiaramente, lo è sempre stato: oggi vota Partito Democratico, un tempo era per i socialisti ma non ha mai partecipato ad un corteo se non una volta, ad Amsterdam, quando iniziò a suonare Bob Dylan ma all’arrivo della polizia si mise in salvo. Come detto, il tema politico è preponderante, ma nel corso della carriera Guccini ha avuto modo di spiegare alcune delle sue visioni, e chi lo conosce come artista sa che, al netto dell’ovvia direzione di certe sue idee, i temi trattati nelle sue canzoni sono stati, se vogliamo, trasversali.



LA LOCOMOTIVA E CHE GUEVARA

Per esempio La locomotiva, trattata come l’inno della rivolta del proletariato (anche perché c’è un verso che lo dice esplicitamente): “una suggestione letteraria, non politica” ha detto lui, e infatti il testo prende spunto da un fatto di cronaca che gli fu raccontato o che aveva letto. Certo: la tematica resta quella, ma per lui lo spunto era altro. Anche quello di Eskimo: Francesco nell’occasione raccontava di una storia d’amore, la sua prima storia seria, sullo sfondo della Bologna del ’68. Ancora: la canzone per Che Guevara (pubblicata nel 2004, ma ce n’è una meravigliosa di quattro anni prima che parla di come fu presa la notizia della morte del rivoluzionario argentino) parla “del ribelle che lascia la Cuba di Castro e il potere per continuare a combattere”. Tuttavia, oggi Guccini dice che se ci avesse parlato, con il Che, i due non si sarebbero trovati d’accordo. Come con Donald Trump, ha poi sottolineato subito dopo. Ma Guccini è anche personaggio che ha stretto un sincero e stretto rapporto con quello che definisce “un grande personaggio”, ovvero il cardinale Matteo Maria Zuppi che una volta lo invitò anche a vedere una partita; che lo ha invitato da Papa Francesco, che “mi piace”.



L’AVVELENATA E GLI ALTRI TESTI

Altri temi della lunga intervista: quella volta che Vasco Rossi gli si presentò davanti per dirgli quanto fosse entusiasta de L’Avvelenata. “Io la detesto, è una canzoncina e non capisco perché abbia avuto tutto questo successo”. Anche quando la eseguiva dal vivo diceva questo: L’Avvelenata è diventata immediatamente la canzone simbolo della protesta contro borghesi e benpensanti, versione mai davvero condivisa dal suo autore che infatti aveva in mente un fatto ben preciso. A distanza di anni, di Cirano avrebbero detto che fosse la nuova Avvelenata. La cosa bella di Guccini, è che tante delle storie che ha raccontato sono successe davvero, ed è questo che piace di lui: la spontaneità del ricordo, magari mascherato sotto una poetica difficile o criptica (per esempio il testo di “Quello che non…”). Scirocco parla di un amico (Baudelaire) che “non riusciva a decidere tra la sposa e la fidanzata, fu lasciato da entrambe”; Il pensionato abitava di fianco a lui in via Paolo Fabbri, “a casa sua vidi una busta con la scritta: da aprire solo in caso di mia morte. La cosa mi colpì”. E poi ancora Culodritto che è dedicata alla figlia Teresa, o Canzone per un’amica con cui Guccini apre sempre i concerti. In principio era In morte di S.F: “Silvana Fontana, morta in un incidente stradale accanto al fidanzato, che si salvò”. Lui, l’ha rivisto qualche anno fa.

LA PAURA DELLA MORTE

Nel 1983 invece Francesco Guccini ha pubblicato Gli amici, una canzone nella quale immagina di essere assunto in cielo con quelli che sono i suoi amici veri. Anche qui, però e forse al contrario di quanto detto prima, è uno specchietto per le allodole: “E’ un mio sogno panteistico, ma i sogni non sono destinati tutti ad avverarsi”. Con decisione, risponde “no” all’intervistatore che gli chiede se creda nell’aldilà. Tra una settimana avrà 80 anni e dice che adesso la morte gli fa un po’ paura: “L’uomo è l’unico animale che sa di dover morire, ma da giovane ero convinto di essere immortale”. Ora comincia ad avere qualche dubbio.