Un disco incandescente, come ogni buona esibizione dal vivo dovrebbe essere. Live in France, registrato dal vivo il 24 settembre 2021 al Théâtre Municipal di Sens, cittadina della regione francese della Borgogna-Franca Contea, è un documento sonico di rara bellezza e di rara intensità, che cattura Francesco Piu al suo meglio, anche grazie alla partecipazione di accompagnatori di altissimo livello, la Groovy Brotherhood, ensemble all’interno del quale, oltre alla voce e alla chitarra del titolare, spiccano Roberto Luti, chitarra elettrica elettrica (uno dei promotori del progetto Playing For Change, a cui hanno collaborato artisti internazionali come Bono, Manu Chao, Robbie Robertson e Ringo Starr), Davide Speranza all’armonica e Silvio Centamore alla batteria. 



In Francia Piu è molto conosciuto, vi si esibisce regolarmente da una decina di anni, e nonostante sia un eccellente chitarrista solista, in questo disco si limita per così dire all’acustica suonata con effetti sonori e distorsioni varie, curando il groove e le linee di basso e la ritmica mentre canta, ma non rinunciando al fingerpicking o alla slide.



Chi conosce il chitarrista sardo, sa del suo amore per la ricerca, la commistione di suoni e culture musicali che non si limitano al blues, buon esempio è l’ultimo disco in studio, non a caso intitolato Crossing. Qui però probabilmente anche per il limitato numero di accompagnatori, si getta anima e corpo nella musica che ama di più, il blues nelle sue varie sfumature, gospel, folk e rock.

Undici brani in totale, due composti dallo stesso Piu, quattro scritti in collaborazione con Salvatore Niffoi, scrittore sardo come Francesco, i restanti cinque pezzi della tradizione americana con la chicca di un Bob Dylan d’annata: Gotta Serve Somebody tratta dall’album “Slow Train Coming”.



Il disco parte quasi in modo sommesso, con la sua Down on my knees. Il livello comincia ad alzarsi con il classico della tradizione gospel Jesus in on the mainline e quindi una tirata e quasi funky Gotta serve somebody di Bob Dylan. Poi la band esplode, guidata da Piu. Si arrivano a toccare vertici di debordante bellezza in esecuzioni come Overdose of sorrow: la chitarra di Piu detta il groove, le percussioni sono accarezzate poi è un crescendo turbinante dove le due chitarre si incrociano e si alzano alte. Spettacolare il traditional Black Woman, che inizia anch’essa con il solo Piu in evidenza che macina riff, poi subentra la voce registrata del reverendo Martin Luther King durante la marcia su Washington del 1963 che porta di schianto all’epoca delle lotte per i diritti civili ma con la consapevolezza che quelle lotte non sono mai finite

Black woman è un canto degli schiavi registrato ai tempi da Alan Lomax, Piu l’ha riarranagiata. Il brano è stato scelto, ci ha detto il chitarrista, “per enfatizzare il cammino verso la libertà di una comunità e le loro lotte; ho voluto miscelare a questa work song le parole del loro profeta che rivendica uguaglianza e l’orgoglio della propria comunità”. Anche qui si assiste a un crescendo strepitoso, Più si lascia andare ad effetti noise e roboanti con Luti che lo incalza, quindi il brano rallenta di nuovo e termina con il solo Più a cappella, la voce autorevole, quasi fosse lui adesso il predicatore di giustizia e libertà.

Altrettanto spettacolare è Hold on, dove i due chitarristi ben sostenuti dalla ritmica di Centamore si scambiano strali cosmici che ricordano le cavalcate psichedeliche di una band come i Jefferson Airplane,

Con la sua voce nerissima ma mai sopra le righe (ricorda a tratti quella del grande Warren Haynes) Piu guida la band in un percorso tutto da godere che fa desiderare di vederlo, Covid permettendo, in concerto al più presto e che ci conferma la classe di un musicista unico in Italia.