La scelta di Emmanuel Macron di iscrivere la libertà di abortire nella Costituzione francese non sembra presentare ragioni che ne spieghino la necessità, né ancor meno l’urgenza.

L’aborto in Francia non solo è da tempo garantito, ma costituisce una vera e propria componente identitaria di quest’ultima. Il diritto ad abortire è proclamato pressoché ovunque. Con l’inserimento nella Costituzione la libertà di abortire diventa un vero e proprio contrassegno identitario. Mostra ciò che la Francia vuole consapevolmente essere, la sua ultima e definitiva espressione culturale.



Una tale fierezza è tanto più ostentata, quanto più sancisce la separazione nei confronti della Chiesa cattolica: ultima sostenitrice del diritto alla vita e unico contraltare alla Repubblica francese, così come questa si concepisce dal 1905 in poi. Una tale attitudine è molto meno estemporanea di quanto non si creda.



Già in passato, e precisamente alla metà dell’Ottocento, Tocqueville si stupiva di quanto l’irreligione continuasse a costituire l’ultima “passione generale e dominante” ereditata dalla Rivoluzione, mentre tutte le altre espressioni culturali di quest’ultima – inclusa la stessa costituzione repubblicana – avevano già da tempo abbandonato i cuori e le menti dell’ampia maggioranza. La presidenza Macron ci dà la possibilità di reiterare una simile constatazione, facendo di Tocqueville un nostro contemporaneo.

La perplessità è infatti chiara. In una Francia attraversata fino all’altro ieri da una protesta popolare – quella dei gilets jaunes – che solo la tempesta del Covid ha frenato; in una nazione dove un intero universo periferico manifesta una profonda spaccatura verso la République mettendo a ferro e fuoco intere provincie, dove i deliri fondamentalisti non mancano di fare bella mostra nella cronaca, dove un intero mondo contadino è in rivolta, la scuola pubblica versa in serie difficoltà e la sanità è alle prese con un’endemica emergenza di effettivi dalla quale consegue la desertificazione di intere aree del Paese, la decisione di recuperare la priorità di un diritto che già esiste inserendolo nella Costituzione, lascia basiti.



La scelta di aggirare tutti questi problemi appena elencati, preoccupandosi invece di iscrivere il diritto all’aborto tra le maglie della Costituzione, rendendolo così inattaccabile a qualsiasi discussione futura, non sembra essere spiegabile se non attraverso una strategia di puro recupero identitario, tralasciando emergenze tanto concrete quando non addirittura drammatiche.

Un’analisi semplice quanto sommaria induce a prendere in considerazione la possibilità di una strategia puramente strumentale, volta a conquistare quote di consenso in vista delle prossime elezioni europee. Macron sa infatti che, in Francia come altrove, le battaglie elettorali si vincono occupando il centro. Proprio per questo sa anche come un tale tentativo abbia tante più possibilità di avere successo quanto più riesca ad allargare la propria area, includendo consensi sia alla propria destra sia alla propria sinistra.

Verosimilmente, attraverso la bandiera dei diritti, di nuovo rimessa in mostra quando nessuno la mette in discussione, si vuole ricostruire un ponte con quella parte dell’opinione pubblica che, dopo i cedimenti registrati sul tema dell’immigrazione (puntualmente giudicati dalla France Insoumise di Mélénchon come un cedimento alla destra lepenista) si è percepita come ormai marginale sul piano culturale e soprattutto morale. Questa componente del mondo culturale e politico francese deve necessariamente recuperare la propria centralità perduta, il proprio primato morale, di fatto profondamente incrinato. L’inserimento della “libertà di abortire” tra le maglie della Costituzione è, per questa strada, un solenne riconoscimento della sua centralità.

È così avvenuto che, dopo l’adozione di una legislazione più rigorosa in tema di immigrazione, Macron sia ricorso al coup de théâtre inserendo la “libertà di abortire” nella Costituzione.

Con una sola drammatica differenza tra le due decisioni. Mentre la prima costituisce un tentativo – parziale quanto discutibile – di porre mano ad un’emergenza reale, la seconda evoca invece una necessità che non esiste, un’urgenza che non c’è, in quanto nessuno minaccia il diritto ad abortire se non nelle forme estremamente rispettose del dibattito, che in realtà è il sale di ogni autentica democrazia.

Nell’ansia di recuperare la propria gauche insoumise, erigendo la libertà di abortire, qualora venisse approvata dalla maggioranza dei deputati, ad espressione identitaria della Francia contemporanea al di sopra di qualsiasi discussione, Macron allontana un tale dibattito, rinviando così nei soli salotti la parte migliore della Francia, quella che abbiamo sempre amato.

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