Ha 34 anni, è il più giovane primo ministro della quinta Repubblica francese. Ha rubato lo scettro del primato a Laurent Fabius, socialista. Gabriel Attal succede a Elisabeth Borne alla guida del governo francese, chiamato da Emmanuel Macron a rialzare le sorti della sua coalizione in vista delle elezioni europee di giugno, ma anche a riportare dalla sua parte quella classe media che ora sembra preferire la destra di Marine Le Pen. È chiamato a dare unità a un governo di ministri esperti e ambiziosi nel quale la Borne non è stata in grado di trovare gli equilibri politici giusti per affrontare riforme come quella delle pensioni e della legge sull’immigrazione.



“Attal – spiega Francesco De Remigis, già inviato a Parigi, esperto di questioni francesi per Il Giornale – è il segnale che Macron vuole riprendersi quella fetta di elettorato che lo aveva un po’ abbandonato: i giovani, un suo vecchio pallino della campagna elettorale già nel 2017. Lo stesso Attal nel suo discorso di insediamento ha ricordato che i giovani sono una priorità e torneranno al centro del percorso del governo”. Non ha mai cercato di fare del suo orientamento sessuale una bandierina, ma è comunque un primo ministro gay.



Macron ha scelto un primo ministro giovane perché può manovrarlo più facilmente oppure Attal ha già fatto capire di sapere il fatto proprio?

Il leader dell’estrema sinistra Mélenchon ha detto che non ci sarà più la figura del primo ministro che decide, ma un vero portavoce delle istanze dell’Eliseo. Conoscendo Attal penso che abbia la voglia di mettere in campo le sue idee, che coincidono al 90 per cento con quelle di Macron. Lo farà in maniera nerboruta: nei pochi mesi in cui è stato nominato al ministero dell’Educazione nazionale ha dato un imprinting molto forte in chiave di rispetto della laicità e dell’uguaglianza senza sottomettere la Francia alle istanze che provenivano dall’islam radicale.



In che cosa, in particolare, ha lasciato la sua impronta?

Ha messo al bando l’abaya, indumento di tradizione araba, della Penisola del Golfo, che aveva assunto i contorni di una propaganda islamica nelle scuole molto forte. Fino a qualche tempo fa c’erano capannelli di ragazze che si presentavano davanti alle scuole con queste tuniche molto lunghe e quando qualche insegnante faceva presente che la scuola laica francese non permetteva l’ostentazione di simboli religiosi in classe veniva lasciato solo dal ministero. Attal ha detto in una circolare che chi si presenta con l’abaya non può entrare a scuola.

Anche nel suo discorso di insediamento ha fatto riferimento, d’altra parte, alla sua esperienza di ministro che si è occupato dell’istruzione. Un tema sul quale vuole insistere da premier?

Ha ricordato che il dossier della scuola sarà ancora centrale per lui. Nel discorso ha ringraziato più volte Macron che gli ha dato fiducia e anche la sua maggioranza. Adesso però si apre una fase nuova in cui dovrà dimostrare di non essere più il “lupo solitario” nel governo, visto che non faceva parte di apparati particolari anche se veniva da una leggera militanza socialista. La sua carriera politica vera e propria è iniziata con Macron. La lealtà al presidente è indubbia, in questo contesto però si possono sviluppare ambizioni personali che lo vedono oggi come la personalità politica più amata di Francia, grazie alla chiarezza che ha messo in campo al ministero dell’Educazione nazionale.

Quali saranno le priorità per il suo governo e cosa dovrà cambiare rispetto alla Borne?

Elisabeth Borne non è stata all’altezza del ruolo che ha ricoperto, in particolar modo riguardo alle capacità di mediazione e di costruire una maggioranza più allargata per varare le riforme. Non solo quella delle pensioni. Ci sono stati tanti casi in cui il governo ha dovuto ricorrere all’articolo 49.3 della Costituzione, che permette di far passare la legge senza il voto dell’aula. Un segnale di debolezza riconducibile tutto alla premier, perché in Francia è il primo ministro che ha il compito di mediare fra le varie anime della maggioranza e di cercare di allargarla se non è autosufficiente per far passare i provvedimenti. Fino a ieri la macronie era indicata come una forza movimentista capace di attingere al meglio della destra e della sinistra per fare sintesi e portare a casa provvedimenti utili alla Francia. Borne non si è dimessa, è stato il presidente della Repubblica che le ha chiesto di farsi da parte.

Quali sono le sfide che attendono Attal, tenuto conto anche di quello che è successo con il suo predecessore?

Bisognerà vedere se sarà in grado di sopperire all’età anagrafica, a capo di tanti ministri di lunghissima esperienza che hanno anche il doppio dei suoi anni. La prima sfida è di dimostrare di essere all’altezza di tenere i ranghi uniti di tutta la maggioranza, che a dicembre si era sfilacciata con il passaggio della legge sull’immigrazione con i voti della destra lepenista, facendo infuriare l’ala sinistra della macronie. Attal dovrà portare questa maggioranza compatta alle elezioni europee, anche nei dibattiti televisivi.

È stato scelto anche per questo?

L’avversario numero uno di Macron sarà Marine Le Pen e il frontman del suo partito, il Rassemblement national, è Jordan Bardella, che sa stare davanti alle telecamere. Macron aveva bisogno di qualcuno che sapesse tenere unita la sua maggioranza ma che sapesse stare davanti alle telecamere con un piglio che tenga testa a quello dei lepenisti. Attal in questo è molto più forte di Borne.

Quali sono i temi su cui punterà Macron per cercare, con questo nuovo primo ministro, di riavvicinare quell’elettorato che adesso secondo i sondaggi gli preferisce la Le Pen?

Deve recuperare la fiducia della classe media che Marine Le Pen gli ha gradualmente sottratto. Attal dovrà insistere per rinvigorire le capacità del Paese. Nel suo primo discorso ha detto che Francia non farà mai rima con declino, ma con grandeur. Dovrà mettere in campo mosse per alleggerire la pressione fiscale di chi lavora, facilitare l’accesso a certi servizi a chi paga le tasse e non solo a chi vive di sussidi. È un passaggio centrale. Dovrà rivolgersi a una classe media che lotta ogni giorno per portare a casa uno stipendio, anche piccolo, come gli artigiani, i piccoli imprenditori, gli agricoltori. Non è una sfida da poco.

Il presidente scegliendo Attal pensa principalmente alle elezioni europee o l’investimento su di lui è a lungo termine?

È un investimento a lungo termine. C’è poco tempo per portare a casa risultati prima del prossimo giugno. Attal è una personalità politica che ha dimostrato di essere capace di “azzannare” i problemi, di volerli affrontare, ma non c’è garanzia di riuscita. Accanto a lui ci sono ministri di spessore, anche con ambizioni personali. Attal è giovane, può saltare il prossimo giro delle presidenziali, ma diventare primo ministro è un trampolino di lancio per poter ambire a qualcos’altro. Oltre a lui vuole accrescere la sua figura politica il ministro dell’Interno Darmanin, che è uno di quelli con cui Attal non va molto d’accordo. Questo è un primo banco di prova. Poi c’è il ministro dell’Economia Bruno Le Maire, che era uno dei potenziali candidati primo ministro. Attal è stato un suo sottoposto al ministero. Darmanin e Le Maire, che vengono da una tradizione neogollista, su alcuni dossier la vedono diversamente da lui.

Dal punto di vista politico, il governo da che parte si sposta: è più a destra o più a sinistra di prima? Come si colloca ora?

È prematuro dirlo. Per ora è cambiato solo il primo ministro, bisognerà vedere se rimarranno nelle caselle chiave gli altri ministri. Credo di sì. Nonostante Attal venga da un percorso che lo ha avvicinato, soprattutto da giovanissimo, al Partito socialista, guardando ai fatti non può dirsi di sinistra, come invece era chiaro che fosse la premier Borne. Il progetto di quest’ultima non ha funzionato perché si è capito con l’andare del tempo che la maggior parte delle intese andavano cercate a destra. E lei non è stata in grado di farlo se non nell’ultima fase. Attal ha le carte in regola per ascoltare un po’ di più l’anima destra del governo. Occorrerà capire se da lupo solitario saprà diventare un capo branco capace di orientare le politiche di un governo frastagliato che deve far fronte all’attualità. E oggi l’attualità richiede risposte ferme su immigrazione e sicurezza, temi su cui la destra fa la voce del padrone. Il governo francese, che non è né di destra né di sinistra, dovrà necessariamente tenere conto di più delle istanze che vengono dal centrodestra. Magari mascherandolo.

(Paolo Rossetti)

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