Un professore è morto in Francia per aver osato insegnare la libertà. Una libertà imperfetta, sgradevole da sopportare perché chi la usa ti ferisce. Ma la libertà è accettare queste differenze spigolose. Un 18enne ceceno, immigrato, parente di un alunno del docente non era d’accordo e ha reagito secondo un’altra concezione di civiltà e di convivenza. L’insegnante è stato punito come blasfemo in applicazione alla sharia ed è stato decapitato per strada, fuori dalla scuola, alla 5 del pomeriggio dallo studente islamico che ha gridato “Allah Akbhar” cioè “Dio è grande”. Infine il ragazzo che brandiva l’arma è stato colpito a morte dalla polizia.



Il prof aveva mostrato le vignette di Charlie Hebdo che deridevano Maometto. Qui non si tratta di essere d’accordo o meno sulla opportunità o meno di quelle caricature. A me ripugnano. Ne hanno proposte di simili su Charlie Hebdo a proposito di Gesù Cristo e del Papa. Ma è ridicolo oggi suggerire di evitare le provocazioni e accusare i discorsi di odio anti-islamico come causa di queste violenze. Mettersi oggi a rimproverare la rivista e il professore sarebbe una vergogna, un cedimento  al ricatto.



È chiaro come il sole che siamo davanti – come ha scritto Alain Finkielkraut – a uno “scontro di civiltà all’interno della stessa comunità nazionale”: chi vuole frantumare le fondamenta dell’idea (ripeto: imperfetta) di libertà, che è il portato europeo di cristianesimo e illuminismo, non è un invasore esterno, non sono i tartari fuori dalla Fortezza Bastiani, ma è una parte di popolo che si è integrata economicamente e scolasticamente in Europa ma la vuole a misura di tradizioni eversive. Non vuole – come scrisse il teologo ortodosso Olivier Clement – modernizzare l’islam ma islamizzare la modernità.



Bisogna rendersi conto che in Europa è in corso da anni una campagna di terrore per imporre un’ideologia di sottomissione all’islam. Non che questo movimento, che sotterraneamente ha il consenso di milioni di musulmani alleati di milioni di cristiani e laici dallo spirito cedevole, voglia obbligare per ora alla professione di fede coranica. Basta che ci si adegui al messaggio contenuto in questi atti barbari. E che si accetti cioè l’idea di convivenza e di (in)tolleranza predicata nelle moschee. Certo, questi giovani reagiscono al vuoto del nichilismo vacuo che oggi la cultura dominante dell’Occidente propone. Ma non è che si combatte il nichilismo accettando che questo vuoto educativo dell’Occidente si riempia di morti.

Sui cadaveri degli sgozzati non si può sedersi a dialogare con gli assassini e i loro mandanti, niente affatto primitivi o sprovveduti. La furia educatrice di costoro – per restare in Francia – ha sbranato vignettisti, preti, studenti, frequentatori di discoteche, negozianti ebrei, spettatori di sagre accusati di avere una fede o un costume di vita offensivo per i dettami coranici. Be’, non è più il caso di fornire alibi ai terroristi insistendo nel colpevolizzare l’Occidente per così dire indegno. Il quale a sua volta dev’essere consapevole che o si rifonda sul senso religioso e su un’esperienza umanamente vitale oppure di libertà vuota morirà o assassinato o assoggettato.

Mi domando se in questo percorso di rinascita educativa non sia addirittura obbligatorio tentare – come ha indicato papà Francesco nella recente enciclica Fratelli tutti – una grande alleanza fondata sul perdono reciproco di cristiani, musulmani e uomini in leale ricerca per una nuova “fratellanza”. Dicono sia un sogno. Ma l’alternativa è un incubo.