Il sistema giudiziario francese è davvero imparziale quando si tratta di giudicare lo stesso reato commesso tra donne e uomini? Una domanda che, In base ad un approfondimento del quotidiano Le Monde, sembrerebbe avere risposta negativa. Pare infatti che ci siano stati molti casi di “poca equità” tra i due generi a processo. Questo riguarderebbe in particolar modo le donne accusate di terrorismo islamico e appartenenti ad organizzazioni jihadiste, che avevano la cittadinanza francese e sono state rimpatriate da nord Iraq e Siria per essere processate in Francia.



Le storiche sentenze analizzate dal quotidiano, che appunto inizia l’articolo con una domanda “Come giudicare le rimpatriate jihadiste che si sono unite ai terroristi dello stato islamico?” dimostrano che inizialmente le prime donne coinvolte vennero praticamente assolte con troppa facilità perchè giudicate come “Vittime dell’indottrinamento religioso” o anche “Costrette a compiere azioni violente perchè obbligate dai mariti“. Nella storia però si tratta della prima volta che la Francia si trova a giudicare un così grande numero di donne accusate di terrorismo. Sono infatti almeno 150 le rimpatriate in un totale di 527 tra tutte quelle che erano andate volontariamente ad unirsi alla jihad sul fronte iracheno siriano.



Francia, processi a jihadiste rimpatriate “Troppi stereotipi di genere”

Secondo la ricercatrice dottoranda in scienze politiche Constance Wilhelm-Olympiou, che sta scrivendo la sua tesi sul trattamento giudiziario riservato ai terroristi islamici rimpatriati in Francia e Gran Bretagna, il sistema troppo spesso risulta essere “vittima di uno stereotipo di genere“. Ma il problema sarebbe anche dovuto al fatto che la giustizia si è dovuta in qualche modo adattare negli anni, non essendo forse pronta a gestire situazioni del genere. Le violenze come quelle compiute all’interno delle organizzazioni terroristiche, sono da sempre considerate una “prerogativa maschile“.



Ed è stato difficile, afferma la ricercatrice, mettere in discussione alcuni principi secondo i quali, “per le donne sarebbe più difficile decidere autonomamente di compiere atti di violenza“, quindi devono essere state per forza “spinte a farlo” da altri. Specialmente se provengono da contesti culturali, come quelli dei regimi islamici nei quali solitamente la donna è assoggettata alla volontà del marito. L’avvocato penalista Joseph Hazan che difende quattro di queste jihadiste rimpatriate conclude affermando che “la giustizia francese è stata spesso vittima di un “paternalismo giudiziario” che romanza troppo la figura della donna criminale“, portando ad un giudizio non equo e “minimizzandone la responsabilità rispetto a quella degli uomini”.