Caso paradossale al Paris Saint-Germain: Idrissa Gana Gueye, centrocampista titolare di nazionalità senegalese, si è rifiutato di indossare una maglia con i numeri a tinte arcobaleno per onorare la giornata mondiale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia fissata per il 17 maggio e ha preferito non scendere in campo e restare in tribuna.



Già l’anno scorso Gana Gueye si era rifiutato di giocare in occasione della giornata a sostegno della comunità Lgbt, giustificando l’assenza con “problemi gastrointestinali”, in realtà perché di fede islamica.

Prima della partita, tutti i giocatori – tra l’altro – erano tenuti a mettersi in posa attorno allo slogan della Lega calcio francese: “Omosessuali o eterosessuali, indossiamo tutti la stessa maglia”.



Dall’entourage del giocatore, nessuna reazione: si parla semplicemente di un “tema sensibile”. “I giocatori di un club, e quelli del Psg in particolare, sono figure in cui i nostri giovani si identificano. Hanno un dovere di esemplarità. Il rifiuto da parte di Gana Gueye di associarsi alla lotta contro l’omofobia non può non essere sanzionato!”, ha commentato la gollista Valérie Pécresse, ex candidata alle presidenziali. Da parte della sinistra progressista, invece, silenzio stampa. Forse tutto ciò per gli evidenti risvolti politici, ma soprattutto perché quando c’è di mezzo l’islam il principale terrore di ogni forza politica progressista francese è quello di essere tacciati di islamofobia: un bavaglio che stoppa qualsiasi critica, perfino – sembra – l’accusa di omofobia.



E qui ci sta tutta l’ipocrisia transalpina: può contare di più, politicamente parlando, non criticare la mancata partecipazione al coro anti-Lgbt dei musulmani o rischiare di perdere le simpatie del mondo Lgbt? Quale antirazzismo ufficiale deve prevalere? E non è tanto questione di parole ma di concretezza: quale scelta fa perdere più o meno voti?

Ce n’è – e ne avanza – perché un provvidenziale ed ufficioso mal di pancia permetta di sorvolare su questo “grado di priorità antirazzista” evitando di dover dichiarare una sorta di priorità di antirazzismo doc che – qualunque scelta si faccia – sarebbe un guaio elettorale per i progressisti.

Tra l’altro nessun giornale, nemmeno il Parisien, raccontando l’episodio cita apertamente che la questione di fondo è la fede islamica del giocatore, con la solita ipocrisia si parla di “motivi religiosi”. “Questo rifiuto, motivato da convinzioni religiose, non è il primo. Lo scorso anno, per la stessa giornata di commemorazione, Idrissa Gana Gueye e Abdou Diallo – due giocatori musulmani – hanno dato forfait per la partita contro Reims, con la scusa di una gastroenterite, è inaudito!”, ha dichiarato il militante Lgbt Mehdi Aifa.

“L’islam”, ha continuato Mehdi Aifa, “sia nel Corano che negli hadith, condanna severamente l’omosessualità. In generale, i musulmani percepiscono quindi l’omosessualità come una devianza. Questa condanna si esprime attraverso il rifiuto di associarsi a un’iniziativa che la loro religione disapprova e reprime”.

L’associazione per la lotta contro l’omofobia Rouge Direct ha chiesto comunque spiegazioni al Psg e al giocatore. “L’omofobia non è un’opinione, ma un reato. La Lega calcio francese e il Psg devono chiedere a Gana Gueye di dare spiegazioni e molto rapidamente. E punirlo se necessario”, ha twittato Rouge Direct. Per ora la Lega calcio francese preferisce non commentare “l’incidente”, mentre il club parigino si limita a ricordare il suo “impegno nella lotta contro l’omofobia e le discriminazioni attraverso Sportitude e Sos Racisme”. Ma qui c’è un’altra ipocrisia che si fa finta di tacere: non partecipare ad una iniziativa Lgbt significa sostenere la discriminazione, è diventato obbligatorio partecipare ad una manifestazione di opinione al punto che chi non interviene è automaticamente “razzista”? Ma allora – oltralpe come da noi – dove sta la libertà di pensiero?

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