Negli anni 70, quando la Guerra fredda raggiunse uno dei suoi picchi più evidenti, la Francia e in particolare il direttore del servizio di sicurezza francese e cioè Alexandre de Marenches (direttore dell’intelligence esterna francese e cioè del Service de documentation extérieure et de contre-espionnage o SDECE) aveva pienamente compreso in modo lungimirante il pericolo che il comunismo rappresentava non solo per gli interessi francesi ,ma anche per la sua capacità di essere pervasivo, raccogliendo le istanze di riscatto sociale, politico ed economico delle popolazioni africane afflitte da secoli dal colonialismo europeo.
Infatti nell’aprile 1977 de Marenches aveva sollecitato il presidente Valéry Giscard d’Estaing (1974-1981) a convincere l’Europa a mettere in atto un vasto piano di assistenza economica e tecnica per le popolazioni africane. L’unico antidoto efficace contro il virus della rivolta, qualunque sia il motivo, qualunque sia la regione del mondo, qualunque sia l’epoca. In questo senso lo Zaire rappresentò un modello esemplare, poiché la Francia riuscì a realizzare i suoi intenti. Ad ogni modo, proprio allo scopo di contrastare la minaccia comunista, il direttore dell’intelligence francese, attraverso il Safari club, un network informale che collegava i principali servizi di sicurezza europei e non, aveva sottoposto al generale Shlomo Gazit, dell’intelligence militare israeliana, una proposta di “cooperazione operativa” che per il momento non ebbe seguito.
Ma l’elemento rilevante da sottolineare era l’approccio strategico del direttore, secondo il quale affinché l’Occidente potesse sopravvivere alla diffusione del comunismo occorreva smettere di pensare (strategicamente) a livello nazionale o regionale per farlo a livello globale, planetario. Come l’impero sovietico, che possedeva un “master plan”, mentre l’Occidente possedeva solo una “non-strategia”.
Naturalmente per realizzare questo obiettivo la collaborazione con tutti i servizi di sicurezza era gradita, che questi provenissero dall’Europa o dall’Africa bianca del Nord. Allo scopo di aumentare l’efficacia di questa strategia, Marenches propose al presidente francese ciò che non si praticava più dalla Seconda guerra mondiale e cioè di coordinare azioni “aperte” (militari, diplomatiche, economiche) e clandestine. Ma non ebbe grande successo. Non solo il presidente ritenne di poter fare a meno di lui per definire le grandi linee strategiche della Francia, ma non lo consultò nemmeno quando si trattò di preparare il vertice franco-africano di Dakar in aprile. Una settimana prima, Marenches gli aveva tuttavia espresso le sue gravissime preoccupazioni sul destino del continente africano, minacciato da una colonizzazione strategica totale da parte dell’URSS e dei suoi alleati. Esagerazioni? Non proprio.
Come mai le visite in Africa di Fidel Castro, del leader rumeno Ceausescu o del capo del presidium del Soviet Supremo Nikolai Podgorny non apparivano al governo francese come il preludio evidente alla presa di controllo del continente da parte del blocco dell’Est? E perché i sovietici frenavano sulla riduzione del numero di testate nucleari? Certo, gli ex dirigenti sovietici smentirono qualsiasi piano volto alla conquista dell’Africa, e si dimenticarono dei fallimenti in Libano, dove l’esercito siriano non li ascoltava, in India o in Indonesia, dove i governi erano gelosi della loro indipendenza.
Ma, nel 1977, decine di migliaia di cubani erano attivi in Angola, dove la Germania dell’Est e il KGB formavano i servizi del presidente Neto. In Mozambico Mosca sosteneva dal 1975 il Fronte di Liberazione del Mozambico (Frelimo) del presidente Samora Machel nel quale riponeva grandi speranze. In Rhodesia sbagliò snobbando Robert Mugabe, capo dell’Unione Nazionale Africana dello Zimbabwe (ZANU), che ebbe il torto di presentarsi come “marxista-leninista in una ottica maoista”, ma armò l’Unione del Popolo Africano dello Zimbabwe (ZAPU) dallo Zambia. In Sudafrica, il KGB finanziò generosamente i comunisti molto presenti all’interno dell’ANC e li equipaggiò con materiale militare attraverso la Tanzania, l’Angola e di nuovo lo Zambia. L’Etiopia cadde nel luglio 1977. Il Paese è stato centrale nella riflessione dell’Occidente. Prima del Safari Club, gli Stati Uniti avevano persino immaginato un’alleanza reale tra il saudita Faisal, l’iraniano Pahlavi e l’etiope Hailé Selassié per contrastare le manovre sovietiche nello Yemen del Sud e in Somalia, con egiziani e sudanesi a fornire le truppe, ma la deposizione del Negus da parte del marxista Mengistu nel 1974 aveva fatto naufragare il progetto.
Tre anni dopo, l’ex Abissinia era in ebollizione con, al nord, forti spinte indipendentiste dell’Eritrea e, al sud-est, un’insurrezione nell’Ogaden. Chiamata in soccorso da Mengistu, Mosca abbandonò senza scrupoli il suo alleato somalo che alimentava le contestazioni: l’Etiopia era meglio situata geograficamente, dieci volte più popolata e cristiana e quindi – si credeva – più permeabile al marxismo. Migliaia di soldati cubani, mille consiglieri sovietici e quattrocento tedeschi dell’Est sbarcarono al ritmo di un aereo ogni venti minuti. Marenches guardò agli Stati Uniti, ma le sue deboli speranze furono deluse: Carter restò sulla sua linea passiva, il segretario di Stato Cyrus Vance non volle inquinare i SALT che riteneva prioritari. Gli Stati Uniti sarebbero intervenuti in Africa solo se i loro interessi vitali fossero stati in gioco.
Il budget totale delle operazioni speciali americane passò da un miliardo di dollari alla fine degli anni 60 a un centinaio di milioni dieci anni dopo. Nello stesso tempo, dal 1976 al 1980, il blocco comunista fornirà quattro miliardi di dollari in armi ai movimenti e ai regimi favorevoli in Africa. La crisi esistenziale a Washington confermò Marenches nella sua convinzione che era il SDECE l’ultimo baluardo della civiltà occidentale in questa parte del mondo. Lodati siano i sauditi che, a colpi di milioni anche loro, rinforzavano lo Yemen e il Sudan di fronte alle loro opposizioni comuniste!
Ma il direttore generale ebbe la lungimiranza di anticipare l’intrusione concomitante del salafismo in queste contrade, che vent’anni più tardi saranno focolai jihadisti. La nave africana faceva acqua da tutte le parti. E il colonnello Gheddafi avrebbe rappresentato sempre per la Francia un costante pericolo. Il 15 settembre 1977, Marenches avvertì questa volta il presidente della Repubblica sul Ciad del quale, dal 1973, la Libia occupava i primi cento chilometri di territorio limitrofo, la striscia di Aozou.
Il direttore non attribuì alcuna importanza a questa disputa che riguardava solo 200mila Toubou, cioè “una minoranza demograficamente e culturalmente infima che non raggiunge nemmeno un decimo della popolazione della Bosnia-Erzegovina nel 1914”. Ciò che era veramente importante, l’istigatore era il colonnello Gheddafi, oggetto, secondo lui, di una manipolazione indiretta da parte della potenza “che ha la strategia più offensiva sulla scacchiera mondiale”. Inutile precisare oltre. Grazie al trattato firmato con Mosca nel 1974, Gheddafi acquisterà in dieci anni 20 miliardi di dollari in armamenti con cui intendeva soddisfare i suoi sogni di dominazione.
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