Oggi la presenza francese in Africa, come sappiamo, è minacciata dalla Cina e dalla Russia. In passato la Francia aveva una profonda e radicata presenza in Africa, ma il suo radicamento nel continente africano è molto più complesso e articolato di quanto si possa pensare. Ne vorremmo ripercorrere alcune tappe.

Nel Nordafrica, e più precisamente negli anni 50, i nuovi arrivati minacciavano il tradizionale dominio francese. Approfittando della guerra in Algeria, il Mossad si era insediato in Marocco, riducendo al minimo gli sforzi francesi per mantenere la continuità nel campo dell’intelligence. Il BND, cioè il servizio segreto tedesco, aveva agito in modo simile in Tunisia, non esitando a denunciare alla Sicurezza nazionale di Tunisi, il 10 febbraio 1959, la rete “Magenta”, che dal 1947 intercettava le comunicazioni dirette alla Libia, all’Egitto, al FLN (fronte di liberazione nazionale algerino).



Va detto che il direttore del controspionaggio della Sicurezza nazionale tunisino Ali M’Rad era un agente al servizio dei tedeschi e cioè di Richard Christmann, capo dell’ufficio tedesco da tre anni. Ogni possibilità di transizione era impossibile per i servizi francesi in questo spazio maghrebino. L’Africa subsahariana presentava un profilo diverso. Quest’insieme di territori si era emancipato, eccetto il Camerun, in modo relativamente pacifico. Caso unico per i servizi francesi, essi avevano potuto anticipare l’evoluzione futura, sia per quanto riguarda la Comunità francese d’Africa, che sostituiva il sistema coloniale, sia per quanto riguarda il ritiro britannico.



A tale proposito un ruolo determinante fu svolto certamente dal servizio di azione francese e cioè l’unità speciale e di élite dei servizi segreti francesi che in modo clandestino aveva posto in essere operazioni di destabilizzazione per tutelare gli interessi francesi. Il Servizio di Azione (SA) fu coinvolto infatti in operazioni di destabilizzazione, sostenendo le opposizioni in Guinea (1960-1967, 1970-1973) e in Libia (1975-1979), sostenendo la secessione del Biafra (1967-1969), fornendo armi ai ribelli angolani (1975).

Nel primo caso, l’asfissia del franco guineano (operazione Persil, 1960-1967) mirava a punire questo giovane Stato africano per il “no” espresso dal suo capo di Stato, Ahmed Sékou Touré, alla Comunità francese voluta dal generale de Gaulle e dal suo consigliere per l’Africa, Jacques Foccart; il tentativo di organizzare una guerriglia, o indirettamente impiegando le risorse della Polícia Internacional e de Defesa do Estado (PIDE) portoghese e della Direcção Geral de Segurança (DGS) con lo scopo di impedire il riavvicinamento di Touré con l’Unione Sovietica. Ma ogni tentativo fallì, per ragioni interne ed esterne (rivoluzione dei Garofani in Portogallo, 1974).



Nel secondo caso, le ambizioni in Niger e Ciad del colonnello Muammar Gheddafi, salito al potere nel 1969, lo portarono a uno scontro diretto con gli interessi francesi a sud del Sahara. Questi furono contrastati con tentativi falliti di assassinio e insurrezione in Libia e con un coinvolgimento militare sempre più intenso in Ciad. Senza disperare di sbarazzarsi di lui, lo SDECE/DGSE affrontò poi Gheddafi come aspirante cospiratore in Tunisia (1980), poi come sostenitore del terrorismo internazionale (1981-2007), fase durante la quale il colonnello si attirò le ire di Stati Uniti e Gran Bretagna.

In un secondo momento il servizio affinò i propri mezzi sui fronti dell’operazione Harmattan (marzo-ottobre 2011), condotta dalla Francia nel contesto dell’intervento NATO Unified Protector. Si trasportarono personalità libiche fuori dal Paese, si fornirono armi ai ribelli, anche paracadutandole sull’altopiano libico Jebel Nefoussa, e si sventarono vari tentativi di assassinio di membri del Consiglio nazionale di transizione libico.

Gli insegnamenti tratti da queste operazioni portarono la DGSE, nella primavera del 2013, e i suoi omologhi dell’intelligence interna e militare a confrontare le loro mappature dei gruppi di ribelli siriani. Le loro fonti erano necessariamente diverse, quindi ognuno disponeva di una visione diversa della guerra civile siriana che continuava nell’indifferenza internazionale dal 15 marzo 2011. Poiché il presidente François Hollande voleva armare gli insorti contro Bashar al-Assad – dall’estate del 2012, quadri del SA si trovavano in Turchia, a Chamagh, dove contribuivano, con i loro omologhi americani, britannici e turchi, alla formazione dei gruppi armati siriani – era importante che le armi non servissero a prolungare il conflitto intra-siriano una volta caduto l’avversario comune.

Gli impegni del servizio in Biafra e in Angola rispondevano a una logica meno franco-centrica. Erano più geopolitici. Nel primo caso, si trattava di minare le posizioni della Gran Bretagna, influenzando il cuore della Nigeria attraverso la porta rappresentata dal Biafra. Il SA si limitò a consigliare il leader della ribellione, il tenente colonnello Odumegwu Ojukwu. A Parigi, i media sotto controllo del servizio diffusero l’idea di “genocidio” per descrivere la situazione in quella zona; il settimanale Paris Match diffuse le immagini e Le Monde scrisse un articolo di ferma denuncia parafrasando le informazioni dello SDECE, poiché l’obiettivo finale era un impegno diretto della Francia. Tuttavia, la mobilitazione mediatica non suscitò alcun movimento dell’opinione pubblica.

Diversa fu l’impegno dello SDECE a fianco dell’União Nacional para a Independência Total de Angola (UNITA) di Jonas Malheiro Savimbi. Alexandre de Marenches incaricò il SA di un’operazione di sostegno e assistenza ai guerriglieri angolani (forniture di armi, supporto politico, ecc.). Questa volta non si trattava di ostacolare l’influenza di una potenza coloniale, ma di assumersi la responsabilità dello SDECE nella Guerra fredda, che stava attraversando una nuova fase di irrigidimento (1975-1985). Tuttavia, l’operazione non ricevette il sostegno del presidente Giscard d’Estaing, che non vedeva alcuna utilità nell’inimicarsi l’Unione Sovietica in una questione distante dagli interessi della Francia. L’aiuto clandestino francese all’UNITA si esaurì rapidamente per ordine presidenziale e fu poi ripreso dalla CIA.

In modo più generale, il servizio di intelligence esterno cercò di anticipare le transizioni che potevano verificarsi in questo “dominio coloniale” africano. In Africa subsahariana il clima tranquillo delle transizioni, ad eccezione del Camerun, permise ai servizi di anticipare le indipendenze a partire dall’estate del 1959, creando i servizi dei nuovi Stati. Poiché allo SDECE fu vietato di raccogliere informazioni di carattere interno, l’obiettivo fu di proseguire l’azione dei servizi generali di intelligence degli ex governi generali coloniali. La coordinazione di questo processo fu affidata al comandante Maurice Robert, che reclutò ex quadri francesi o formati dai francesi. Ad esempio, Alfred Delarue (Charles Cantier) fu inviato – se non esfiltrato, a causa del suo ruolo nei servizi generali di intelligence della prefettura di polizia di Parigi nello scandalo delle fughe (1954) che mirava a eliminare politicamente François Mitterrand – a Brazzaville dopo i sanguinosi disordini del febbraio 1959 per istituire il Bureau de documentation économique et sociale della nuova Repubblica del Congo.

Allo stesso modo, Georges Conan, un ispettore della polizia coloniale in Camerun (1955-1960) incaricato di riformare la polizia gabonese, creò nel 1963 il Centro di documentazione, prima di cedere la mano quattro anni più tardi al suo ex collaboratore, Pierre Tramini, poi a un ex ispettore della DST, André Casimir. La ripresa in mano del Camerun fu affidata a un ispettore Jean Fochivé, diventato commissario dopo un periodo alla Scuola superiore di polizia di Dakar (1959) e uno stage a Parigi presso la sede del SDECE (1960); nel gennaio 1961, prese la direzione del Servizio di studi e documentazione. In Ciad, un altro commissario africano formato a Dakar, Békoutou, fondò l’ufficio di documentazione della presidenza, prima di essere sostituito da un ex ufficiale coloniale di origine indocinese, il capitano Camille Gourvennec, capo del Bureau central de coordination.

La presenza francese continuò poi a contribuire alla gestione delle gendarmerie africane nel contesto della cooperazione. In questo modo, informazioni interne sui singoli Paesi continuarono ad arrivare alle sedi dello SDECE. La paternità dei servizi francesi rispetto ai loro omologhi africani non dovrebbe far pensare che le loro relazioni si basassero su una subordinazione. Dal 1960, il Togo chiuse la sede locale del servizio segreto francese,  espellendo il suo capo, che tornò solo in seguito al colpo di Stato del gennaio 1963. Tra il 1964 e l’ottobre 1967, il Ciad fece lo stesso, costringendo lo SDECE a chiudere definitivamente la sua sede di collegamento. Questa sede copriva anche la Repubblica Centrafricana, dove lo SDECE aveva dovuto smantellare le sue strutture il 31 dicembre 1964. La conclusione della questione ciadiana portò tuttavia la direzione dello SDECE, e in primo luogo il capo del sotto-settore Africa presso la Centrale parigina, il colonnello Maurice Robert, a immaginare una nuova organizzazione per sostituire le sedi locali della intelligence francese.

Anche perché non erano sempre a conoscenza degli sviluppi interni degli Stati in cui erano insediati. Ad esempio, il tentativo di colpo di Stato gabonese del 18-19 febbraio 1964 colse di sorpresa il responsabile locale dell’intelligence,  che fu ingenuamente fatto prigioniero. La notte precedente, solo un’informazione verbale di un ufficiale al colonnello Roger Vivet, capo della missione militare francese, riportata all’ambasciatore Paul Cousseran, consentì di avviare una risposta francese, che venne dalle forze della “zona d’oltremare” n. 2, preposizionate a Brazzaville sotto il comando del generale Louis Kergaravat.

All’inizio degli anni 70, il “cortile di casa” africano dello SDECE era seriamente compromesso, sia per ragioni politiche, sia a causa di restrizioni di bilancio. Si rendevano necessarie nuove modalità operative, dato che la penetrazione sovietica del continente si stava intensificando. Si decise di trattare i Paesi africani come qualsiasi altro Stato, con sedi sotto copertura diplomatica o commerciale, e sedi clandestine. Inoltre, per svolgere le sue missioni di intelligence, lo SDECE iniziò a operare in collaborazione con servizi stranieri, come il Gihaz al Mukhabarat al ‘Āmah (Intelligence Generale Egiziana, GMA), molto attivo in Africa negli anni 70, la PIDE portoghese, preoccupata per la guerriglia angolana, il South African Bureau of State Security (BOSS), il SIFAR o la CIA.

Il 1º settembre 1976, Marenches si affidò al suo carnet di indirizzi, che gli apriva certe porte dei capi di Stato conservatori della regione. Così nacque l’African Safari, una sorta di club di responsabili dei servizi che riuniva il Maslahat al Istikhbarat al ‘Āmah saudita (Servizio Generale di Intelligence), la SAVAK e la Direction Générale des Études et de la Documentation marocchina (DGED), tutti decisi a combattere la sovversione comunista. Lo SDECE riuscì così a ottenere i piani completi del missile Sam-7, che all’epoca rappresentava una minaccia costante per le truppe francesi impegnate in Ciad; uno di questi missili, recuperato intatto dagli omaniti durante la guerra del Dhofar (1962-1975) ai confini del comunista Yemen del Sud, fu consegnato dai sauditi. Dal 1977 al 1981, questa struttura, intrecciata con una rete speciale di trasmissioni, permise anche di condurre un certo numero di “operazioni” in Africa e in Medio Oriente senza che la Francia fosse coinvolta.

Non dimentichiamoci tuttavia che se lo scopo finale era quello di arginare il comunismo – come abbiamo accennato poc’anzi – la Francia doveva da un lato contrastare le ingerenze di servizi con cui lo SDECE era in contatto in Europa (Mossad, BND) o in Africa (CIA) e dall’altro lato affrontare la competizione con gli altri servizi di sicurezza francesi e cioè con quelli dello stato maggiore dell’esercito e con le “reti Foccart”.

Proprio per quanto riguarda Foccart la sua capacità di influenzare le scelte francesi in Africa si fondava sulla rete dei suoi amici e collaboratori: il colonnello Maurice Robert (1959-1973), i suoi colleghi riservisti del SA, come il tenente colonnello Henri Fille-Lambie (Jacques Morlanne). Questa possibilità si indebolì durante gli anni 60, soprattutto a causa dell’implicazione del SA nelle operazioni in Algeria. Si dissolse dopo le dimissioni di Robert dallo SDECE e il suo passaggio alla industria petrolifera Elf. Segno evidente della “de-foccartizzazione” in corso nel servizio di intelligence esterno, non ostacolò il sistema Foccart, che si basava più su contatti individuali che istituzionali, e sopravvisse fino alla metà degli anni 90. Il consigliere di de Gaulle, Pompidou, aveva accesso alla maggior parte dei capi di Stato africani legati alla Francia. Conosceva anche tutti i francesi espatriati che contavano, come l’ispettore Cesari ad Abidjan (1956-1957) o il capitano di gendarmeria mobile Louis Dargelos nelle Antille (1952-1954) e poi in Nordafrica (1955-1958), corrispondenti situati in “una posizione intermedia in un ambito professionale ‘sensibile’ (esercito, polizia, diplomazia, amministrazione prefettizia, media, commercio internazionale e coloniale…)”.

I suoi uomini pullulavano negli ambienti dei principali responsabili dei servizi africani, come gli ambasciatori in Gabon Maurice Delauney (1975-1979) e poi Maurice Robert (1979-1981). Poteva anche contare sulla “cellula” Protezione e Sicurezza Amministrativa (PSA) della compagnia petrolifera Elf-Aquitaine (creata ai tempi dell’Union Générale des Pétroles, nel 1965, da Guy Ponsaillé, cui succedettero Maurice Robert e Jean Tropel). Quanto al servizio di azione di Foccart, consisteva nell’utilizzo di mercenari, introdotti nel gioco africano al momento della secessione del Katanga nel 1961. Proprio a questo riguardo il ruolo del mercenario Denard fu essenziale. Il reclutamento di Robert Denard rimase un assetto significativo per le operazioni francesi in Africa.

In definitiva, gli interventi militari francesi nel continente sono sempre stati un equilibrio delicato tra l’interesse nazionale, le relazioni diplomatiche, e l’influenza di figure chiave come Jacques Foccart. La presenza francese in Africa ha costantemente dovuto affrontare sfide, siano esse di natura politica, militare o economica, e i servizi segreti hanno giocato un ruolo fondamentale nel mantenere questa influenza.

La continua necessità di gestire le relazioni con i Paesi africani attraverso operazioni segrete e interventi militari ha mostrato quanto sia stato cruciale per la Francia avere un sistema di intelligence efficace e flessibile. Questa complessa rete di relazioni e operazioni segrete ha continuato a evolversi nel corso degli anni, adattandosi ai cambiamenti politici e geopolitici della regione.

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