Prima la conferma che Israele ha il diritto di difendersi dall’attacco del 7 ottobre e ora la richiesta di un embargo nei suoi confronti per quanto riguarda le armi. Macron e la Francia hanno una posizione molto altalenante sulla guerra in Medio Oriente, cambiata perché negli attacchi israeliani in Libano sono stati colpiti gli interessi di Total Energies, società francese. Dall’Eliseo e dal Quai d’Orsay, insomma, spiega Francesco De Remigis, giornalista già corrispondente da Parigi, vengono dichiarazioni poco chiare che, se possibile, sminuiscono ancora di più l’importanza di Parigi in un’area nella quale, come in Africa, ha perso progressivamente influenza. Una posizione, quella francese, che scontenta Netanyahu ma anche i libanesi, nonostante per fine mese Parigi abbia organizzato una conferenza internazionale sul Libano.



La Francia ha sostenuto il diritto di Israele a difendersi dopo l’attacco del 7 ottobre; ora, però, propone un embargo nei confronti di Israele per quanto riguarda le armi. Come mai questo cambio di posizione?

Mi sembra più che altro una difesa degli interessi economici che la Francia ha in Libano, oltre che un tentativo estremo di recupero di influenza in un’area in cui non è più una voce così ascoltata. Parigi ha perso la capacità di controbilanciare l’ascesa regionale di Paesi come la Turchia, con cui Macron non ha certo buoni rapporti. C’è un contesto nel quale si inserisce questa dichiarazione sull’embargo nei confronti di Israele, un summit per la francofonia in cui è stata annunciata una conferenza internazionale per il Libano entro la fine del mese. Siamo di fronte a una sorta di riposizionamento, un riequilibrio dell’immagine che la Francia ha tenuto dopo il 7 ottobre, di netto sostegno alle ragioni difensive di Israele.



Qual è l’elemento che ha portato a ricalibrare la posizione francese?

L’intervento di Israele in Libano. Se su Gaza la Francia era stata a fianco di Tel Aviv per un’azione considerata di difesa, qui è andata oltre. E parlando di embargo ha avuto il sostegno di Paesi come Qatar e Giordania con i quali ha rapporti privilegiati. Il fatto è che nei raid israeliani è stata colpita una postazione di Total Energies a sud di Beirut e questo cambia molto, perché la Francia in Libano ha soprattutto interessi economici, legati all’estrazione e all’uso delle risorse naturali, in particolare per giacimenti di gas e petrolio. La reazione israeliana ai razzi di Hezbollah rischia di mettere in pericolo la stabilità dei prezzi dei beni energetici e di controllo sulle risorse, che per la Francia è cruciale. Specialmente in un momento in cui il conflitto tra Ucraina e Russia ha già portato a una crescita dei prezzi dei beni energetici in tutta Europa.



Con la Francia potrebbe cambiare idea anche l’Europa nei confronti di Israele?

L’Europa non ha diritto di cittadinanza sul piano della diplomazia internazionale: ogni Paese va per conto suo. Anche sul Libano non può avere un peso specifico. La Francia ha un ruolo storico nel Paese e ha continuato a svolgerlo, anche se negli ultimi giorni bisogna registrare un’esperienza disastrosa del nuovo ministro degli Esteri, preso di mira, nel corso di una visita in Libano, dai giornalisti che chiedevano conto di una dichiarazione del Quai d’Orsay in cui si parlava di generici attacchi al Libano senza attribuirli a Israele. Qualcuno gli ha chiesto se pensava che venissero da Marte. Un segno della pressione che la Francia sta subendo dopo che ha perso la sua influenza anche in Medio Oriente, una perdita in cui c’è una responsabilità della politica poco chiara di Macron. Dopo il summit dei Paesi francofoni ha provato a ricalibrare la posizione nei confronti di un Paese, il Libano, con cui fa affari e che considera un perno per tutta l’area, ma che negli anni ha subito un’influenza molto forte degli ayatollah iraniani.

La Francia non è riuscita a opporsi all’influenza iraniana e ad aiutare il Libano a rafforzare le sue istituzioni?

Il Libano vive da cinque anni una situazione economica disastrosa, da un paio d’anni non ha un governo operativo e un presidente: di fronte a questa situazione la Francia non è riuscita a dare una risposta politica e oggi si ritrova ad affrontare una crisi generata non da Israele, ma dall’influenza di altri Stati mediorientali. Non è riuscita a controbilanciare l’avanzata iraniana e non solo.

Quali sono state le reazioni alla richiesta di embargo sulle armi nei confronti di Israele?

Non credo verrà assecondata da molti Paesi o comunque lo sarà in ordine sparso, ma già in Francia, che ha la comunità ebraica più numerosa d’Europa, ha ricevuto una fortissima critica da parte dei rappresentanti della comunità ebraica, che ha accusato Macron di fare non il gioco della pace, ma di Hamas e Hezbollah.

C’è stata anche una telefonata tra Macron e Netanyahu. Come è andata?

Il presidente francese ha ribadito il diritto dello Stato di Israele a difendersi dal terrorismo, ma ha continuato di fatto a puntare il dito contro gli USA, che continuano a fornire le armi a Israele. Non ci può essere una posizione così altalenante.

La Francia è stata protagonista di missioni diplomatiche in Libano in quest’ultimo anno. Un lavoro che non ha dato esito?

Le missioni sono servite solo per avere il polso della situazione, per far vedere che si è presenti. L’unica operazione concreta è l’annuncio per fine ottobre di una conferenza internazionale per il Libano, ma non ci sono indicazioni pratiche o di prospettiva date da Macron o dal ministro Jean-Noël Barrot per una soluzione politica per il Paese.

Sono ulteriori segnali di debolezza della politica di Macron?

Anche di spregiudicatezza: fino ad ora aveva mantenuto un equilibrio, ora che gli attacchi israeliani in parte hanno già colpito interessi francesi comincia a dire che bisogna fermarsi e non inviare le armi. È un modo quasi infantile di difendere i propri interessi economici in una politica che rischia di acuire tensioni. La posizione francese non l’ho capita: se si parla di embargo alle armi israeliane, non si può ribadire a Netanyahu che il diritto a difendersi è sacrosanto. Se gli attacchi devono finire, con cosa si difende Israele? Né Macron né il ministro degli Esteri lo hanno definito. A Barrot i giornalisti libanesi hanno chiesto se condannava i raid israeliani: nessuno lo ha capito. Dopodiché c’è stato il summit della francofonia per dire che la Francia è presente, senza che si capisca quale sia l’operazione che sta mettendo in campo concretamente.

(Paolo Rossetti)

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