Il Senato francese ha respinto il disegno di legge presentato il 13 ottobre dai socialisti per introdurre in Francia la vaccinazione obbligatoria. La proposta era finalizzata a superare l’impasse che, secondo i proponenti, sta subendo l’immunizzazione graduale mediante green pass e a inserire la vaccinazione anti-Covid nell’elenco delle 11 vaccinazioni imposte ai bambini nati dal 2018, oltre che a somministrarla alla popolazione generale. I socialisti sono rimasti isolati e tutti gli altri gruppi si sono trovati allineati con la posizione del governo: “preferiamo convincere che costringere”, ha dichiarato Adrien Taquet, segretario di Stato per l’Infanzia e la Famiglia.
Un voto che dovrebbe far pensare il governo italiano, dove l’ipotesi dell’obbligo è accarezzata da diversi esponenti dell’esecutivo ed esplicitamente sostenuta dal Pd. Per quanto riguarda invece la strategia di condizionamento alla vaccinazione mediante green pass, l’Italia l’ha copiata dalla Francia, ma lo ha fatto in ritardo, senza gradualità, stigmatizzando e isolando i contrari. Ne abbiamo parlato con Francesco De Remigis, inviato a Parigi de Il Giornale.
Il Senato ha respinto la proposta dei socialisti di introdurre la vaccinazione obbligatoria contro il Sars-Cov-2. Adesso che cosa succede?
Nulla di diverso da quanto calendarizzato. Si procede con le pubblicità in tv che invitano a vaccinarsi per continuare sulla strada dell’immunizzazione graduale.
Qual è la leva principale?
Il portafoglio. Fino ad oggi i tamponi erano gratuiti, adesso invece si pagheranno, tranne per i vaccinati che su indicazione del medico hanno ragioni per sottoporsi a un test, restando vigili in caso di sintomi da contagio. Per i non vaccinati, un test antigenico costerà 22 euro in laboratorio, 25 euro in farmacia e 30 euro la domenica. Per un test molecolare, 44 euro. Ma questo Macron lo ha annunciato a luglio, non ieri.
La gradualità del passe sanitaire vince sull’obbligatorietà del vaccino?
Questa è stata la linea finora. Poi si sono via via introdotti “vantaggi” vari per i vaccinati, per esempio nella scuola media e superiore. Alla ripresa delle lezioni, il ministro Blanquer ha detto che i vaccinati non sarebbero stati obbligati a sottoporsi a Dad in caso di alunno positivo al Covid-19. E nelle scuole la percentuale di vaccinati è cresciuta a settembre, non ad agosto.
Anche il governo si è opposto alla vaccinazione obbligatoria, con il voto contrario del segretario di Stato Adrien Taquet. Politicamente cosa significa?
Che la linea formale di Macron non viene sconfessata, e cioè che il governo non introdurrà l’obbligo vaccinale, anche se l’ipotesi è stata ventilata. È stata una rassicurazione. D’altronde l’Eliseo sostiene sin dall’arrivo dei primi vaccini in Francia che Oltralpe non sarebbe stato obbligatorio vaccinarsi. Fortemente consigliato, non obbligatorio.
Leggiamo che per il passe si ipotizza addirittura una scadenza: il 31 luglio 2022. Confermi?
Attenzione. È lo Stato di emergenza sanitario che si pensa di estendere fino a quella data, perché ciò consente all’esecutivo di ricorrere al lockdown, al coprifuoco e ad altre misure restrittive, se necessario. Sono due cose diverse. Il passaporto sanitario deve essere discusso dal Parlamento, così è stato detto a luglio dal governo e così si prosegue fino al 15 novembre. Sono due canali diversi, che attribuiscono sin dal primo giorno a deputati e senatori una loro autonomia di giudizio, in quanto rappresentanti del popolo democraticamente eletti. Il governo lo ha lanciato spiegandone le regioni, i tempi per valutarne l’efficacia, e cioè vedere se si ottiene un boost nelle vaccinazioni. Se il Parlamento è contrario al green pass, il green pass avrà vita breve, o lunga a seconda.
Prendiamo alcuni interventi. Bernard Jomier (socialista) pur essendo un pro vaccino anti-Covid ha detto che gli effetti della tessera “si stanno esaurendo”. È così?
In Francia l’idea del pass – lo ricordo, molto più graduale nella sua attuazione rispetto all’Italia – serviva a incentivare la vaccinazione di massa senza introdurre formalmente un obbligo. È chiaro che, avendo sperimentato il lasciapassare prima dell’Italia, i suoi effetti in Francia siano in dirittura d’arrivo. A novembre si tireranno le somme.
Sappiamo che il condizionamento alla vaccinazione mediante passeport sanitarie è stato molto avversato nelle piazze francesi. Con quali ripercussioni politiche?
In tv e sui giornali si parla di economia, sicurezza, Afghanistan e Sahel. L’introduzione del passaporto sanitario ha seguito un calendario ben scadenzato, tenendo presente, e anzi prevedendo, barricate da parte di alcuni che vi si oppongono. È stato digerito, compreso. Chi rifiuta la vaccinazione può lavorare pagandosi i tamponi dopo tre mesi di autogestione. In piazza i no vax erano e sono meno della metà dei partecipanti. Quelli erano e quelli sono, molti altri barricaderi si sono nel frattempo vaccinati in prima dose senza obbligo nelle ultime settimane, pur restando contro il pass.
I dissidenti sono oggetto, come in Italia in questi giorni, di uno stigma politico e sociale?
Meno, molto meno. Forse proprio perché le tappe sono state diverse e la gradualità dell’introduzione del passeport è andata di pari passo col fatto che in Francia i tamponi per ottenerlo sono stati gratuiti fino a ieri, e solo ora cominciano a diventare a pagamento, da oggi, cioè nell’ultima fase del green pass, quella in cui si vedrà se gli assenti alla chiamata del vaccino si sottoporranno all’iniezione oppure no.
Le discoteche?
Hanno riaperto a luglio al 75% della capacità, per andarci bastava il tampone, non il vaccino. Idem per teatri, cinema, musei. Alla fine, dopo due mesi di tamponi dall’introduzione del passeport, seppure gratuiti o rimborsati, ti scocci e magari ti convinci a vaccinarti. Strategia sensata, pensata e portata avanti dal governo. Nulla a che vedere con la copia italiana.
Finora chi ha dovuto vaccinarsi? Medici, caregiver, ossia singole categorie?
Si è cominciato per categorie, via via estese. Medici, operatori sanitari, badanti, dipendenti di case di riposo, addetti alle ambulanze, vigili del fuoco. Dal 15 settembre gli operatori sanitari non vaccinati contro il Covid hanno il contratto di lavoro sospeso. Una minaccia che ha convinto la stragrande maggioranza a vaccinarsi nei tre mesi di riflessione. Su 2,7 milioni di professionisti interessati, il ministro della Salute parla oggi di circa 10-15mila persone che si rifiutano ancora. Moltissimi caregiver.
E nella scuola?
Nessun obbligo, anche qui motivato. Ad agosto il ministro ha citato un sondaggio secondo cui meno di 1 insegnante su 10 affermava di non volersi vaccinare. A settembre i prof non vaccinati erano infatti meno del 10%. Non bisogna guardare alle percentuali di vaccinati in Francia paragonandole a quelle italiane. Credo che sia già un risultato ben oltre le aspettative quello raggiunto finora nel Paese tra i più scettici d’Europa sui vaccini. Più di tre quarti della popolazione è completamente vaccinata, 7,5 milioni di francesi non hanno ancora fatto il grande passo. Far pagare loro i test, soprattutto se vogliono beneficiare del lasciapassare, potrebbe rivelarsi lo stimolo della svolta.
In aula al Senato l’ipotesi di obbligo vaccinale è stata definita “controproducente” (Lévrier), o tipica di un dibattito “datato” (Guillotin). Non così il green pass però.
Mi pare che l’arco costituzionale non faccia obiezioni nel difendere la necessità di vaccinare la più alta percentuale possibile di popolazione, e questo in un Paese, ripeto, storicamente scettico sui vaccini di ogni natura. Anche Marine Le Pen in Francia sostiene di fatto l’invito alla vaccinazione, pur rivendicando la libera scelta “a seconda delle analisi del rapporto rischio-beneficio”.
C’è un argomento principe, con cui si cerca di far avanzare la campagna di immunizzazione?
Il fatto, incontestabile, che in terapia intensiva vanno soprattutto i non vaccinati. E che occorre vaccinarsi per stare al passo della battaglia contro le varianti.
Qualcuno ha posto un problema non indifferente, quello di garantire l’adempimento dell’obbligo: “Questo potrebbe screditare l’azione pubblica”. Come commenti?
Come si fa a introdurre l’obbligo senza entrare casa per casa? Non è possibile. Il problema c’è, e lo si è superato spingendo i francesi a vaccinarsi per poter svolgere attività quotidiane, prima quelle di svago, culturali, sportive, solo in ultima istanza anche di lavoro, e mi riferisco ai medici e agli operatori sanitari. Ma ripeto, la Francia ha seguìto un calendario in cui sono stati dati tre mesi per abituarsi all’idea che il tampone ogni 48-72 ore non sarebbe stato più perseguibile come tragitto, e che prima o poi ci si sarebbe dovuti vaccinare per ottenere il passeport.
La gradualità ha avuto effetti apprezzabili?
Sì, perché molti si sono convinti vedendo amici, colleghi che si sono vaccinati durante l’estate e che a ottobre stanno bene e così è maturata una fiducia maggiore. Non dall’oggi al domani. Non con le minacce, né con le dita puntate.
Ha avuto un ruolo nel dibattito un tema decisivo ai fini dell’incostituzionalità dell’obbligo, quello dell’autorizzazione non standard dei vaccini anti-Covid da parte dell’Ema? Non si può obbligare alla somministrazione di vaccini di cui non si conoscono gli effetti a lungo termine.
Mi pare sia stato più un approccio di principio, quello di Macron, che comunque immagino conosca le ripercussioni che derivano dall’obbligare a un vaccino sottoposto ad autorizzazione condizionata. Da dicembre 2020, sostiene la linea del rispetto delle voci scettiche, perplesse, preoccupate, scansando l’obbligatorietà e investendo nella “pedagogia” verso le differenti sensibilità. Le fasce d’età hanno funzionato, tenendo conto delle raccomandazioni dell’Ema, su cui la Francia ha seguito una strada meno ondivaga rispetto a Roma, specie su Astrazeneca.
Quali sono le prime preoccupazioni di Macron?
L’economia e il lavoro, e per dirla tutta la campagna elettorale. Quando non devi mettere d’accordo cinque, sei, sette partiti per portare avanti un calendario di governo, certo è più facile. Ma pure lui ha le sue beghe.
Ad esempio?
Per restare all’Eliseo nell’aprile ’22 forse non dovrà giocarsela solo con Le Pen ma pure col saggista Éric Zemmour. Il suo libro-manifesto, su cui basa la sua sottile campagna da terzo incomodo, in poche settimane ha venduto quasi 200mila copie.
(Federico Ferraù)
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